Tutto parla di te

Tutto parla di te

Regia: Alina Marazzi
Anno: 2013

Pauline (Charlotte Rampling) torna a Torino dopo molti anni per dedicarsi ad un progetto di ricerca sulle condizioni psicologiche delle mamme di oggi. Le esperienze delle donne su cui e con cui si trova a lavorare la costringono a fare i conti con il suo doloroso passato.

Pare un film semplice Tutto parla di te, invece è un’opera assai complessa da un punto di vista tematico e linguistico.

L’esordio di Alina Marazzi nel lungometraggio s’inserisce alla perfezione nel suo percorso artistico, proseguendo l’approfondimento di temi a lei cari quali la condizione della donna (Vogliamo anche le rose, 2007) e la relazione madri/figlie (Un’ora sola ti vorrei, 2002). L’esplorazione dell’universo femminile compiuto dalla regista milanese non è mai banale: ecco perché bisogna andare al di là della superficie di un’apparente semplicità narrativa.

Alina Marazzi assume sempre un punto di vista particolare da cui raccontare le storie che sceglie di narrare. Anche nel suo ultimo film il rapporto tra madri e figli è scrutato con uno sguardo nuovo che ne svela la contraddittorietà, giungendo a parlare di aspetti che per la nostra società sono tutt’oggi dei tabù.

Tutto parla di te sottopone alla nostra attenzione il problema sociale rappresentato dal disagio psicologico denominato depressione post-partum: una vera e propria patologia caratterizzata da crisi di pianto, cambiamenti di umore, irritabilità generale, perdita dell’appetito, assenza di interesse nelle attività quotidiane e/o verso il neonato, insonnia o all’opposto difficoltà a rimanere svegli. Solo in Italia, considerando anche la versione più leggera della malattia denominata baby blues, ne soffre il 16% delle neo-mamme e a livello globale la percentuale oscilla tra il 10 e il 20%.

Le madri presenti nel film svelano un lato della maternità che di essa rivela l’ambivalenza. Dapprima viene così incrinata la loro rappresentazione come madri secondo l’archetipo a cui siamo abituati (amore, tenerezza e dedizione totale), ma alla fine queste donne emergono come vere e proprie eroine della contemporaneità, eroine che accanto alla gioia della maternità affrontano il dolore e la stanchezza della loro condizione di madri.

Per dare voce a tutto ciò, Alina Marazzi si serve di una commistione di linguaggi e di generi: il film si struttura come un contrappunto tra la storia principale, interpretata da Charlotte Rampling e da Elena Radonicich, e alcune interviste autentiche che ne guidano e commentano la progressione e che esplicitano la base documentaristica del progetto di questo film.

Già, perché Tutto parla di te non è soltanto un lungometraggio: è il fulcro di un vero e proprio progetto di sensibilizzazione sociale e di informazione che si è concretizzato in un blog (tuttoparladivoi.ilfattoquotidiano.com) con lo scopo di dare la maggior visibilità possibile a questa condizione. Le continue intersezioni tra fiction e documentario rendono più tangibile l’urgenza della Marazzi di raccontare e rendono efficacemente la complessità della condizione delle donne protagoniste del film.

E’ su questa linea, con questa intenzione, che si colloca la scelta della regista di inserire nel film materiali diversi: fotografie, home movies, quadri e persino animazioni. Il risultato è un film eterogeneo ma estremamente coerente perché ogni mezzo d’espressione ha il proprio significato e viene impiegato per dare voce a un sentimento particolare.

La storia di Pauline situa l’intera narrazione su un alto livello di lirismo ma al contempo di sofferenza; le video-interviste − in quanto testimonianze − riportano alla realtà concreta e impongono immediatamente all’attenzione dello spettatore la coralità della situazione.
Il teatro-danza serve a dare espressione fisica ad alcuni sentimenti come l’aggressività, nonché al tema della trasformazione del corpo della madre durante la gravidanza e alla conseguente ricerca di un nuovo equilibrio tra anima e corpo. Le fotografie artistiche di Simona Ghizzoni rendono visibile la crisi di identità della madre, che dopo la nascita del figlio si può sentire svuotata, evanescente, assente.
Le fotografie d’epoca e i filmini di famiglia presentano diverse figure di madri, appartenenti a differenti epoche, suscitando la riflessione sul fatto che forse anche dietro quei volti così sereni si celava il germe della depressione, perché questa è una condizione di cui ci si vergogna e che pertanto poteva passare sotto silenzio anche in altri tempi.
L’animazione in stop-motion (realizzata da Beatrice Pucci) riporta la protagonista all’infanzia, visualizzando i suoi ricordi e rivestendoli di un’utopia che giunge a riscrivere una storia troppo dolorosa cambiandone forse il tragico finale.

Il risultato è una densità polimaterica (la superficie graffiata delle pellicole dei filmini di famiglia si alterna alla lucidità del digitale) e policromatica (si passa dal bianco e nero dei materiali d’archivio ai colori pastello anni Cinquanta dell’animazione ai colori caldi della Torino di oggi), e questa densità ruota intorno a Charlotte Rampling: è lei il baricentro del film. La poliedrica attrice interprete di Addio fratello crudele (Giuseppe Patroni Griffi, 1971), Il portiere di notte (Liliana Cavani, 1974) e Stardust memories (Woody Allen, 1981) sa riempire con il suo sguardo profondissimo e malinconico lunghe inquadrature silenziose e sa essere anello di congiunzione tra passato, presente e futuro, offrendo la propria esperienza di donna al personaggio di Emma (Elena Radonicich), che le ricorda sua madre, con la differenza però che questa giovane madre ha ancora la possibilità e la speranza di un futuro sereno.

Come si sarà compreso, numerosissimi sono i temi affrontati dal film: l’identità, il rapporto generazionale, sia nel piccolo di un nucleo familiare sia a livello sociale; l’ambivalenza del rapporto madre/figlio, con relativi sensi di colpa, solitudini e depressioni; la ricerca dell’equilibrio interiore; l’amicizia tra donne; il rapporto tra maternità e carriera; i cambiamenti delle dinamiche di coppia dopo l’arrivo di un figlio.

Si eviti però l’equivoco: Tutto parla di te non è un film per donne, anzi. Anche voi mariti, compagni, padri dovreste vedere questo film, che resta in primo luogo un’opera d’arte.

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Alessandro Guatti
Laureato in "Storia e critica del cinema" al DAMS di Bologna e specializzatosi nella stessa Università in "Cinema, televisione e produzione multimediale", delinea la sua attività professionale nell'ambito del videomaking e della critica cinematografica. In qualità di critico cinematografico, dopo aver scritto per "Il Melegnanese" e "Microonde", è ora redattore e supervisore di Cinemacritico.it, prosegue con la rubrica di videorecensioni "Scelto per voi" da lui ideata per la webtv di Melegnano (www.melegnano.tv) e pubblica articoli e recensioni di film, serie tv, libri e spettacoli teatrali sul suo blog (www.myplaceintheweb.wordpress.com). Come regista ha realizzato il video con Valentina Cortese "Magnificat", uno spettacolo di poesia e musica su testi di Alda Merini. Oltre a realizzare riprese e montaggi di video di varia natura, si sta specializzando in prodotti fortemente legati all'ambito musicale: un documentario sul Primo Corso Internazionale di Musica Antica tenuto a Tel Aviv nel 2010, alcuni videoclip (è il regista ufficiale dei video dell’ensemble Polypop e ha collaborato con il James Thompson Project), promo e video di spettacoli e concerti. Diversi suoi lavori sono visibili sul suo canale youtube, "Alessandro Guatti” e sull'omonimo canale Vimeo.