Le spose celesti dei Mari della pianura

Regia: Aleksey Fedorchenko
Anno: 2012

Un film, un documentario, un viaggio dell’anima tra realtà e soprannaturale.

Se il Festival di Roma targato Marco Müller doveva servire a far conoscere tematiche poco battute dal cinema occidentale, nella domenica piovosa romana, l’obiettivo è stato raggiunto.
Un merito che non si può strappare di mano al regista russo Aleksey Fedorchenko, già vincitore del premio della critica per Silent Souls al Festival di Venezia e da poco distribuito in copie limitate in Italia.

Le Spose celesti dei Mari delle pianure è una pellicola impostata come delle novelle che si susseguono, come capitoli di uno stesso volume che ricordano quelli del Decamerone: boschi, riti, canti, poesie, raccontati in 22 microstorie.
L’impostazione è simile ai famosi Paris, je t’aime (Olivier Assayas, Frédéric Auburtin. With Florence Muller, Bruno Podalydès, Leïla Bekhti, 2006) e New York, I Love You (Fatih Akin, Yvan Attal, Randall Balsmeyer, Allen Hughes, Shunji Iwai, Wen Jiang, Shekhar Kapur, Joshua Marston, Mira Nair, Natalie Portman, Brett Ratner, 2009): ognuna con il suo genere, dal thriller, alla commedia, al melodramma.
Il cinema di Fedorchenko è soprattutto un’occasione per fare qualcosa di diverso e inusuale, quasi un gioco: “Oggi in Russia  -spiega lo stesso regista-  esistono tre gruppi di Mari: i Mari delle pianure, quelli della montagna e i Mari degli Urali”.

L’audace film mostra villaggi sperduti dove ancora regnano tradizioni pagane e dove i religiosi trascorrono il loro tempo pregando nei boschi. Il mondo descritto da Alexey Fedorcenko è multiforme e variopinto, un luogo di personaggi, di stagioni e di donne. Le figure femminili e le tradizioni (dalle danze ai riti) vengono proiettati e inseriti all’interno  di  scenari innevati, quasi mitici, che evidenziano la grandezza e meraviglia della natura.

Ed è soprattutto tra i boschi che le tradizioni prendono forma e vivono nel mistero, dove i morti tornano in vita, le streghe compiono le loro magie  e le preghiere collettive vengono celebrate sotto forma di danze.
A differenza del precedente Silent Souls (2010), pellicola concentrata  in uno spazio e in un tempo limitato, Le Spose celesti dei Mari della pianura si sviluppa secondo la figura retorica del frammento: unico elemento comune degli episodi risiede nell’immagine femminile e nella dimensione fantastica degli episodi.

Una regia quasi trasparente quella di Alexey Fedorcenko fatta di inquadrature che regalano delle bellissime immagini pittoriche. La fotografia  sempre in bilico tra fiaba e realtà, fa la sua figura con un’ immagine lattea che somiglia ad un sogno.
L’unico difetto forse è nella colonna sonora, surreale e comica ma poco incisiva. Le interpretazioni, tutte molto teatrali, a lungo andare risultano ripetitive. Nonostante non sia adatto per il grande pubblico, l’ultima opera del cineasta russo è poetica. Una perla di rara bellezza come molti angoli del mondo possono essere: macchie di esistenza di cui nulla si sa perché ormai dimenticati.

Manca l’intenzione di esprimere il dramma della scomparsa di queste tradizioni e di questi luoghi, ma forte è la volontà di mostrare (come l’arte del cinema vuole) qualcosa che ha impressionato e catturato l’attenzione del regista.

È una nuova forma di racconto e di narrazione quella di Le spose celesti dei Mari della pianura, composta da tanti dettagli che compongono un disegno di una particolare bellezza, di quella che si trasforma in grazia, quella che incanta e diverte.

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