Fino all’ultimo respiro

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Regia: Jean-Luc Godard
Anno: 1960

Opera rivoluzionaria, film manifesto della generazione di registi francesi degli anni ’50-’60 definita Nouvelle Vague, penetrò negli immaginari di tutti gli autori delle generazioni successive e smantellò il discorso cinematografico classico tradizionale e lineare.

Jean-Luc Godard fu sicuramente il più provocatore e innovativo tra tutti gli esponenti della Nouvelle Vague francese. Le tecniche utilizzate dal regista, come le riprese effettuate con la macchina a mano e i tagli di montaggio dal ritmo irregolare, tutte utilizzate nel suo film più celebre Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle”), ridefinirono completamente la struttura e lo stile dell’opera cinematografica.

La macchina da presa di Godard sembra tallonare i personaggi, le riprese trasmettono spontaneità e immediatezza e lo spettatore sembra assistere a un reportage, come se il mondo venisse ripreso e registrato in modo autentico, senza alcun filtro o artificio di costruzione del profilmico.
Lunghi piani-sequenza vengono alternati a inquadrature brevi, a frammenti di pellicola accostati e tagliati in sede di montaggio con un’andatura agitata e discontinua; le inquadrature non vengono correlate attraverso gli abituali raccordi del cinema classico, ma tramite la tecnica dei cosiddetti jump cuts.
Ne consegue una nuova prospettiva cinematografica, libera e aggressiva, un racconto che procede a sbalzi, con brusche accelerazioni che si alternano a momenti di pausa e divagazione, nell’ambito di una continua violazione delle regole della messa in scena.

Il film portò alla fama l’attore Jean-Paul Belmondo, al tempo ancora giovane e pressoché sconosciuto, che nel film interpretò il protagonista, Michel Poiccard, un giovane francese della fine degli anni ’50, con la cravatta aperta sul collo e la sigaretta tenuta sbilenca su un lato della bocca.

Le espressioni del volto del personaggio, il suo vestiario, il suo atteggiamento e la sua gestualità sono estremamente singolari. L’attore crea una dinamica nuova di sguardi e gesti rivolti agli altri personaggi, utilizza occhiate ed espressioni del volto esplicite e sottolineate, quasi esibendo le procedure della propria recitazione ed evidenziando le tecniche specifiche della messa in scena cinematografica.

Michel ripete più volte, durante il film, un gesto singolare che lo contraddistingue: si passa il pollice sopra le labbra, con la volontà di imitare e di citare Humprey Bogart (uno dei più grandi miti del cinema hollywoodiano dagli anni ’30 agli anni ’50) e rimandare il suo personaggio ai modelli del duro e del gangster americano delineati dall’attore statunitense.

Il personaggio ricorre spesso a monologhi ad alta voce, i quali accentuano il suo esibizionismo e la sua energia. In un’occasione interpella direttamente lo spettatore, guardando in macchina e rivolgendosi a esso, rompendo la verosimiglianza del film e una delle regole principali del cinema narrativo.

Michel, assieme alla protagonista donna Patricia, diventa il prototipo dei nuovi soggetti esistenziali cinematografici degli anni ’60: l’affermazione della libertà è per entrambi fondamentale, Michel la trova nell’illegalità e nella trasgressione, Patricia invece si interroga sull’esistenza, sulla libertà, sulla vita.

La sequenza più celebre del film è certamente quella interamente girata nella camera d’albergo dell’Hôtel de Suède; è per la gran parte costituita da piani-sequenza più o meno lunghi che vanno a costituire quasi 23 minuti di riprese, in cui non succede nulla di rilevante e vediamo i due protagonisti che dialogano tra loro con libertà.

Da segnalare anche la bellissima sequenza nella cabriolet decappottabile, in cui le angolazioni della macchina da presa sono particolarissime e il dialogo tra i due personaggi si svolge in maniera totalmente anticonvenzionale. I personaggi di Godard infatti parlano senza che il regista si preoccupi di sincronizzare con l’alternanza dei dialoghi la tecnica di ripresa del campo e controcampo tipica del cinema classico.

Il cinema di Godard è un cinema di flusso, un cinema di libertà. L’analogia che si crea tra la libertà delle tecniche cinematografiche e quella dei caratteri dei due protagonisti fa emergere un nuovo modello di opera cinematografica, rendendo Fino all’ultimo respiro il film per eccellenza del nuovo cinema, in cui esistenza e forma artistica raggiungono una fusione mai raggiunta prima.

Un film rivoluzionario, da vedere e rivedere; per i due attori protagonisti superbi nella loro recitazione a tratti improvvisata e a tratti esibita e per la continua trasgressione delle convenzioni cinematografiche classiche; Fino all’ultimo respiro è senza dubbio un’opera che cambiò la storia del cinema e diventò una vera e propria lezione di stile per tutto il cinema moderno successivo.

Un esempio su tutti, il film che è stato definito il manifesto di una Nouvelle Vague italiana, I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965) (altro film da vedere), opera piena di reminiscenze Godardiane.

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