Regia: Anne Giafferi
Anno: 2010
L’amore inatteso è un piccolo film che affronta grandi tematiche e a suo modo pretende di dare piccole risposte, toccando le corde emotive degli spettatori.
Antoine (Eric Caravaca), avvocato di successo nonché amorevole marito e padre di famiglia, un giorno riceve un invito dall’insegnante del figlio maggiore Arthur (Quentin Grosset) a partecipare ad un corso di catechesi. Non sa di cosa si tratta, né perché il professore lo abbia invitato e, sebbene sia ateo, per gentilezza si presenta all’incontro, al quale però l’insegnate non è presente. Vi trova invece un piccolissimo gruppo di personaggi improbabili che, per motivi diversi e ognuno a modo proprio, si accostano alla parola del parroco locale in cerca di soddisfazione del proprio bisogno di spiritualità.
Dopo il rituale canto di gruppo, il parroco chiede agli astanti: “Chi di voi vuol essere amato?” (in francese Qui a envie d’être aimé?, che è il titolo originale del film), provocando l’imbarazzo di Antoine, che sente di trovarsi in una situazione ridicola e non sa come comportarsi. Qualche giorno dopo, a cena con un gruppo di amici, racconta il buffo episodio, suscitando l’ilarità dei presenti, che si fanno beffe di queste iniziative e di chi vi partecipa.
Qualcosa però è scattato nella mente di Antoine, infatti decide di presentarsi al secondo incontro del corso, adducendo di voler assistere spinto dalla curiosità e ammette di aver acquistato d’impulso anche una Bibbia. Il parroco però lo avverte: gli incontri non sono lezioni di un corso di teologia, non hanno la pretesa di insegnare la dottrina cattolica, ma più semplicemente vogliono parlare al cuore di tutti coloro che vogliano condividere una piccola esperienza spirituale.
Antoine comincia a seguire il corso con costanza, due volte alla settimana, ma se ne vergogna e per questo mente alla moglie (Arly Jover) sui suoi spostamenti, trovando il coraggio di parlarne solamente alla sorella (Valérie Bonneton), probabilmente perché è un po’ svampita e perché sa che non lo giudicherebbe. Questa doppia vita diventa però per Antoine sempre più insostenibile, non solo per le menzogne che è costretto a raccontare ma perché comincia a guardare la propria esistenza con altri occhi, scoprendola routinaria e superficiale, piena di emozioni represse, e la sente sempre più soffocante. Il suo distacco comincia anche ad allontanarlo dagli affetti che gli sono più cari: la moglie non comprende il suo cambiamento e sospetta che abbia un’amante, il rapporto con il figlio dovrà sormontare un muro di incomprensioni e di frasi non dette.
Il film, tratto dal libro autobiografico di Thierry Bizot – marito della regista – ed emblematicamente intitolato Cattolico anonimo, ci sottopone una specifica domanda: nella società moderna, che cosa significa oggi la parola conversione? E cosa significa soprattutto in una società borghese, dominata da una nuova generazione che sembra stia passando dal laicismo all’ateismo? La Chiesa cattolica può essere ancora un punto di riferimento per l’uomo moderno, che ha altre priorità e altri valori rispetto a quelli dei propri padri o dei propri nonni?
In realtà, il viaggio di Antoine non è un cammino alla scoperta di Gesù, ma un faccia a faccia con sé stesso, con il proprio passato e con le ripercussioni sul proprio presente familiare. Il tema centrale è il rapporto padre-figlio: Antoine, figlio di padre autoritario che ha sempre preferito a lui il fratello maggiore alcolizzato e violento, crede di aver costruito con Arthur un rapporto dialogante, di amicizia e confidenza, ma scopre che il suo conflitto familiare irrisolto lo ha segnato più profondamente di quanto credesse e che influisce negativamente sul suo ruolo di padre. Inizialmente scambia la carità cristiana per sottomissione e si lascia ridicolizzare sotto gli occhi del figlio prima dal fratello e poi dal padre. Infine capisce che ciò di cui ha bisogno è di liberarsi dai sentimenti di rabbia repressa e di incanalarli in amore e positività.
Una pellicola che rinnova uno schema narrativo classico di molte sceneggiature cinematografiche: interno familiare (prima) sconvolto e (poi) rigenerato da un ospite inatteso, una presenza estranea ed essenzialmente scomoda, che in questo caso non si incarna in un vero e proprio personaggio ma nella figura di Dio. La sua parola si insinua all’interno di un apparentemente idilliaco quadro familiare e si configura come elemento di disturbo/rottura che porta alla luce la reale fragilità delle relazioni al suo interno.
Pellicola che ha fatto parlar di sé per la delicatezza del tema trattato, ma che lo affronta in maniera altrettanto delicata e misurata. La religione resta un tema tabù che accende dibattiti e tocca corde profonde della nostra sensibilità, ma nel film di Anne Giafferi il cattolicesimo viene appena accennato, quasi sfiorato, i contenuti dottrinari vengono lasciati da parte e quello che resta sono piccole pillole di spiritualità ed espressione di valori che in fondo sono condivisi dalla maggior parte delle religioni.
Consigliato a chi crede nella forza del cambiamento e a chi apprezza la semplicità nel raccontare le emozioni.