Romanzo di una strage

Regia: Marco Tullio Giordana
Anno: 2012

Calabresi, Pinelli, gli anarchici, i servizi segreti deviati, i neofascisti, i rossi. Una nuova ipotesi sullo stragismo: le bombe si sono piazzate da sole.

Milano, 12 dicembre 1969. Una bomba (o erano due?) devasta la Banca Nazionale dell’Agricoltura. E’ l’attentato che passerà alla storia come strage di Piazza Fontana (per distinguerlo dalla strage di piazza della Loggia, dalla strage della stazione di Bologna“, dalla strage dell’Italicus e da almeno altri 140 attentati dinamitardi).
Diciassette vittime ed 88 feriti (segnati per sempre, nel corpo e nello spirito).

Giordana ripropone il clima degli anni di piombo (tra il 1968 ed il 1974), a partire da una manifestazione di piazza, contornata da celerini e spinta avanti dallo slogan (attualissimo) “Vogliamo casa e lavoro!”.

Il film segue l’intrecciarsi di eventi che saranno poi ricordati come strategia della tensione. Tensione in senso sociale, strategia in senso golpista.

Il regista non è nuovo alla trasposizione cinematografica di eventi di cronaca rilevanti. Ne I cento passi (2000) ha raccontato la vicenda di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia perché scomodo e ne La meglio gioventù (2003), la storia italiana, dall’alluvione di Firenze fino alla strage di Capaci.

Tutte ricostruzioni a misura d’uomo, poggiate su una narrazione interna che propone dubbi, rabbia, rassegnazione, certezze che si consumano e svaniscono, mentre verità e giustizia sprofondano nel nulla.

Il film si divide in capitoli, per mettere ordine negli eventi precedenti e successivi alla strage.

C’è la pista anarchica, che culmina con Pinelli defenestrato, il depistaggio svizzero (falsa pista a Basilea),  l’indagine parallela a destra (neofascisti bombaroli, infiltrati nelle file di anarchici e rossi ed il tentato golpe Borghese), la pista veneta (neonazisti pronti ad emulare il golpe militare greco del 1967) e l’ipotesi dei servizi segreti deviati (ed arsenali nascosti sotto terra, utili in caso di colpo di stato comunista).

Gli uomini di spicco d’allora ci sono tutti: Feltrinelli (l’editore), sovversivo ma innocuo (soprattutto dopo essere stato assassinato e dato alle fiamme), il commissario Calabresi (Valerio Mastandrea) poliziotto buono e comprensivo poi assassinato, Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino), padre di famiglia che allontana i facinorosi dal suo gruppo d’anarchici.

Non mancano i personaggi autoreferenziali: Fabrizio Gifuni (già visto ne La meglio gioventù), interpreta un Aldo Moro troppo teatrale (una sorta di Maestro Yoda serioso e profetico) e Luigi Lo Cascio (già visto ne I cento passi), nel ruolo del Giudice Paolillo, intento a  districare depistaggi ed insabbiamenti.

Romanzo di una strage, suggerisce flebilmente quello che anche la vecchietta che vende carciofi al mercato suggerirebbe: la responsabilità della strage di Piazza Fontana è da ricondurre ai gruppi eversivi di estrema destra (coadiuvati da servizi segreti deviati ed esponenti delle istituzioni conniventi) ed al loro tentativo di costringere lo Stato ad un intervento  repressivo ed autoritario che preparasse il terreno ad un colpo di stato militare.

Invece, il film è popolato da esseri umani, buoni (alla Rousseau), confusi, protesi verso la verità e la giustizia. Anche chi appare colpevole, scivola nella terra di nessuno del “non ci sono prove”.

Ad oggi, questa strage non ha colpevoli. Dopo 33 anni di processi, tutti gli imputati sono stati assolti. Ai familiari delle vittime sono rimaste le spese processuali da pagare.
La Questura di Milano è stata assolta per il caso Pinelli.
Per l’omicidio calabresi sono stati condannati ex esponenti di Lotta Continua (sinistra extraparlamentare), tant’è che Adriano Sofri (leader del movimento, mandante morale dell’omicidio, poi assolto) ci ha tenuto a contestare la ricostruzione del film ed a mettere online la sua versione dei fatti, in un ebook dal titolo 43 anni.
Per la morte di Aldo Moro, assassinato nel 1978, sono state incriminate le Brigate Rosse.

Tutti casi chiusi, morti.
Solo il senso d’ingiustizia resta vivo.
Scaturisce appena dai titoli di coda, che elencano i nomi delle vittime e concludono con una descrizione breve dell’impotenza della legge italiana.
Per questo il film non convince. E’ una versone light del periodo più buio della nostra Repubblica. Fosse per Giordana, le nuove generazioni non saprebbero mai quanto orrore c’è stato dietro allo stragismo di Stato.