Regia: Phyllida Lloyd
Anno: 2011
Una Meryl Streep da Oscar ci presenta Margaret Tatcher, la signora di ferro che ha fatto la storia della Gran Bretagna.
Quando a Phyllida Lloyd è stato offerta la possibilità di dirigere The Iron Lady avrà pensato all’enorme opportunità di dipingere il ritratto di uno dei più grandi personaggi del ‘900, ma anche al rischio di far storcere la bocca alla nazione di cui Margaret Thatcher è stata guida per ben 11 anni. Beh, la Lloyd non ha toppato e la sua lady di ferro ha colpito nel segno, soprattutto perché la pellicola non si rivela un semplice biopic, ma un affascinante affresco sul declino del potere nel tempo e sulla nostalgia degli affetti. La donna che ha risollevato la Gran Bretagna parla con il marito defunto in preda alle allucinazioni, mentre la demenza senile l’allontana sempre più dalla realtà: tutto questo in contrasto con la fermezza e la forza d’animo che ne ha contraddistinto la carriera politica. In tutto questo splende la stella di Meryl Streep, il cui talento sembra essere inversamente proporzionale allo scorrere del tempo con cui, nel film, la mente della Tatcher si sgretola lentamente.
Quando l’86enne Margaret Tatcher si decide a sgomberare l’armadio del marito Denis, scomparso da 8 anni, l’uomo le riappare come un fantasma e, con la stessa ironia che lo ha caratterizzato in vita, riporta alla mente dell’ex primo ministro britannico i ricordi di un’intera esistenza. Scorrono così la carriera, la lotta contro il pregiudizio sessista e la scalata al potere culminante nella massima carica politica, presieduta con il pugno di ferro che richiedeva il momento. A fianco della donna, l’immancabile figura di Denis, compagno tanto dispettoso quanto affettuoso, interpretato alla meraviglia da Jim Broadbent. L’uomo, figura molto discussa (ma sempre apprezzata dai media inglesi), si rivela l’ingranaggio chiave della vita di Margaret, sempre pronto a consolare la moglie nei rari momenti di fragilità.
Nella sua vita, Margaret Tatcher è stata senz’altro discussa per le sue idee, odiata e amata dai suoi concittadini, intollerante e intransigente, ma non si può negare che abbia fatto la storia del suo paese. Nonostante questo, resta un essere umano che non può resistere all’avanzare della vecchiaia, che si riflette, più che nelle visioni del marito defunto, negli sguardi vacui e assenti che rivolge a chi le sta intorno e, in particolar modo, alla figlia Carol.
C’è qualcosa in questa donna che attira e che fa paura: l’incrollabile convinzione secondo cui “ogni vita deve lasciare un segno”. Oltre che una naturale ammirazione per la Tatcher (al di là del nostro sesso) ci rimangono in mente il sorriso da furbetto di Jim Broadbent e il suo calice alzato in favore della moglie. Da menzionare, poi, alcune scene in cui il talento della Streep si manifesta in tutta la sua forza: il colloquio con il generale americano, in cui la donna assicura di aver “combattuto ogni giorno” della sua vita (una guerra in cui era sola contro tutti) e la rottura con il vice-primo ministro Geoffrey Howe (Anthony Head) in cui Margaret accusa i suoi ministri di essere dei vigliacchi.