The Last Stand – L’ultima sfida

Regia: Kim Jee-Woon
Anno: 2013

A Sommerton, sonnolenta cittadina dell’Arizona, la vita scorre tranquilla e lo sceriffo Ray Owens, ex-agente della narcotici, si prepara a godersi il giorno di riposo. Ma il pericolo è in agguato: Cortez, potente trafficante di droga, scampato alle forze di polizia durante un trasferimento, ha scelto proprio Sommerton per passare il confine americano, fuggire in Messico e far perdere le sue tracce. Owens, rimasto solo in città con un manipolo di aiutanti, è deciso a dare battaglia all’ultimo sangue per fermare il criminale…

Più che per l’esordio in terra statunitense del talentuoso regista sud-coreano Kim Jee-Woon (ricordiamo il noir Bittersweet Life, 2005, l’ottimo horror I Saw The Devil, 2010, Il Buono il Matto il Cattivo, 2008, rilettura in salsa orientale dello spaghetti western di Sergio Leone), The Last Stand – L’ultima sfida si segnala all’attenzione generale per il ritorno dell’ex governor Arnold Schwarzenegger in qualità di protagonista di un un action movie (a dieci anni di distanza da Terminator 3 – Le macchine ribelli, “Terminator 3: Rise of the Machines”, Jonathan Mostow, 2003).

Viene da chiedersi a chi più abbia giovato l’operazione: se al regista chiamato a Hollywood per il debutto in un blockbuster (almeno nelle intenzioni, il flop al botteghino è già certificato) in lingua inglese o al redivivo Schwarzenegger (in rampa di ri-lancio con il nuovo capitolo della saga di Terminator in arrivo nel futuro prossimo).

A nessuno dei due, pare di poter dire. Di certo, non allo spettatore che ha pagato il biglietto.

Il film conferma la bravura tecnica e la grande mobilità di Jee-Woon nella costruzione di sequenze adrenaliniche, in un vortice frenetico di inseguimenti, scontri a fuoco, lotte e sparatorie. Senza però aggiungere nulla di veramente originale ad un ripetitivo schematismo di fondo. Imperniato sulla presenza straripante del vecchio arnese Schwarzenegger, colosso un po’ arrugginito alle prese con l’ennesima (forse tardiva) riproposizione dell’icona di eroe-monolito indistruttibile (stemperata però con una buona dose di divertita autoironia).

Non si discute il mito, ma l’attore si mostra davvero imbolsito. Non riesce ad apparire naturale e credibile nemmeno sdraiato in pantofole sul divano mentre sorseggia una birra.

Come i personaggi, presi alla sprovvista, si equipaggiano con pezzi presi da un museo di armi antiche, allo stesso modo il film attinge a piene mani dalle scorte/scorie del passato (il corpus Schwarzenegger in primis). Dal deposito di munizioni dell’action movie vecchio stampo (gli esplosivi e muscolari anni ’80). Ma ormai le cartucce sono state tutte sparate. I proiettili non vanno più così a segno come una volta.

Allora, per attrarre i più giovani, non resta che cavalcare qualche ondata modaiola. Come le folli corse di macchine truccate in stile Fast and Furious e le spericolate pazzie da strada simil-Jackass: lo conferma la presenza nel cast del suo stesso creatore, il comico Johnny Knoxville (nel ruolo dello sballato Dinkum, prima tenta di segare in due un palo della corrente, poi lo abbatte zompandoci sopra e schiantandosi al suolo).

Numerosi i riferimenti al western: la frontiera, lo scontro città-campagna. La ghost-town desertificata e abbandonata da tutti, con i quattro cavalieri dell’apocalisse (urbana) rimasti a difenderla. La main street teatro dello scontro principale. Con le file di macchine (un product placement invadente dei veicoli Chevrolet) a fare da barricata (come i carretti del vecchio West) e i pistoleri/cecchini appostati sui tetti. Il duello finale sul ponte, un last man standing match senza esclusione di colpi. Il senso dell’onore e del dovere contro lo strapotere dei soldi e della violenza.
C’è anche l’influenza del caos metropolitano alla Christopher Nolan (la fuga di Cortez dal blindato e le sequenze sui grattacieli ricordano le imprese di Joker e i suoi scagnozzi ne Il cavaliere oscuro, “The Dark Knight”, 2008. L’agente FBI, inoltre, parla del trafficante come di “uno psicopatico con la Batmobile”).

Con qualche reminescenza del fare squadra e della solidarietà tra individui diversi, uniti nel combattere una minaccia esterna, prese dal classico Distretto 13: le brigate della morte (“Assault on Precint 13”, 1976) di John Carpenter. Ma qui tutto è banalizzato e privo di spessore, pompato a mille in una messinscena che punta tutto su ritmo e velocità.

Forse inconsapevolmente, il film diventa qua e là anche un fedele ritratto dell’America massicciamente invasa dalle armi nella vita quotidiana (si pensi alla recente strage nella scuola di Newtown): ecco il fucile a pallettoni del burbero contadino (il veterano Harry Dean Stanton in un divertente cameo) e l’arzilla vecchietta che impallina il criminale tra le porcellane del salotto. Ma d’altronde lo stesso Schwarzenegger-politico, conservatore reazionario, è uno strenuo difensore del diritto di ogni americano a possedere un’arma da fuoco.

E allora, avanti a caricatori spianati. Verso la prossima, ultima (?) sfida.

Action movie svelto, dinamico e senza fronzoli, che spinge sempre sull’acceleratore.

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