Regia: Roman Polansky
Anno: 2002
La commovente storia (vera) del pianista che sopravviva all’orrore dell’Olocausto grazie all’amore per la musica.
Wladyslaw Szpilman (Adrien Brody) è un pianista polacco molto conosciuto nella Varsavia bellica della Seconda Guerra Mondiale. Vive serenamente grazie alla sua musica circondato dall’amore di una famiglia numerosa, fino a quando l’ombra dell’Olocausto non decide di abbattersi sulle loro vite. La comunità polacca sembra sottovalutare l’avvento nazista ma giunto l’inverno la situazione appare nitida e cristallina a tutti: i nazisti hanno intenzione di sterminare gli ebrei.
Inizia un periodo di profondi cambiamenti in cui viene vietato il lavoro, l’accesso a tutti i locali pubblici e diventa obbligatorio indossare la stella di David, come segno distintivo di appartenenza alla religione ebraica. I nazisti impongono lo spostamento delle famiglie dai quartieri d’origine ai ghetti ebraici, accuratamente divisi dal resto della città attraverso una muraglia che ne impedisce ogni collegamento.
Da qui ha inizio una lotta alla sopravvivenza che vede la famiglia di Szpilman vivere di stenti e privazioni. Ma il peggio giunge nel 1942 con la deportazione obbligatoria nei campi di sterminio. Tutta la famiglia si concentra nello stesso vagone del treno, pur non conoscendo l’esito del beffardo destino che li aspetta. La fortuna questa volta assiste Wladyslaw, che viene estratto dal treno in partenza ad opera di una sua vecchia conoscenza. Da questo momento la sua vita sarà avvolta da una morsa feroce, che lo costringerà a cambiare nascondiglio ogni giorno.
La musica sarà l’unica compagna fedele e premurosa del cammino per la sopravvivenza.
Roman Polanski dopo aver rifiutato la regia di Schindler’s List (diretto da Steven Spielberg, 1993) ha accettato di impegnarsi per portare sugli schermi la biografia di Wladyslaw Szpilman. Il film è tratto dal libro (Una città muore – Il pianista) che il famoso compositore aveva scritto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il successo del film, acclamato dalla critica e dal pubblico, è stato sancito con il premio Oscar come miglior attore ad Adrien Brody e per la Palma D’oro al Festival di Cannes nel 2002.
Una ricostruzione meticolosa del vagabondare di esseri umani privati di dignità, alla ricerca disperata di uno spiraglio nell’oscurità della solitudine. L’occhio della macchina da presa pone in risalto sfumature caratteriali in netto contrasto con l’umanità naturale che contraddistingue l’uomo, accentuando l’istinto animale che pervade l’animo come stimolo alla sopravvivenza. Il ritmo narrativo si snoda attraverso i primi piani del viso esangue del protagonista unito alla musica come metafora di salvezza.
La pellicola non si perde analizzando il silenzio della desolazione, ma esorta alla contemplazione.
Spettacolare e commovente la sequenza in cui, tra le rovine di una Varsavia deserta, il pianista accarezza i tasti del pianoforte senza toccarli, per concepire con la fantasia la melodia che avrebbe propagato se solo avesse potuto emettere suoni. Queste note logoranti si appoggiano soavemente nell’animo dello spettatore e l’empatia si dissolve in un file rouge ideale.
L’interpretazione del protagonista sintetizza appieno il dolore esistenziale di tutti coloro che hanno subito l’atroce sofferenza della deportazione.
Un film spietato e delicato allo stesso tempo.