E’ stato il figlio

E' stato il figlio

Regia: Daniele Ciprì
Anno: 2012

Palermo. Ufficio postale periferico. Un uomo in attesa, dimesso e triste, racconta strane storie capitate. Chisssà in quale tempo, chissà a chi. Poi, repentino, il passaggio d’immagine a quel tempo e a quelle storie, là dove sono accadute. Il quartiere è lo Zen, in anni non precisati. Lui è Tancredi Ciraulo (Fabrizio Falco) figlio di Nicola (Toni Servillo). Loro sono i protagonisti della storia.

Poverissimi, si arrangiano per vivere, parlano in siciliano stretto (sottotitolato). Tancredi è accidioso, svogliato, sempre rimproverato da Nicola. Poi un giorno una tragedia, tutta da Zen, colpisce la famiglia Ciraulo. La piccola Serenella (Alessia Zammitti), figlia e sorella amatissima, cade vittima per errore di un agguato mafioso. Muore uccisa da un colpo di pistola nell’urlo disperatissimo di Nicola.

Però. Un consistente risarcimento da parte dello Stato è previsto per le famiglie delle vittime di mafia. Lo dice un amico, lo conferma un avvocato. Per i Ciraulo si apre una finestra sul sogno. La povera Serenella, pianta e compianta, ridona il sorriso alle facce buie, tristi, sporche e anche un po’ cattive dei Ciraulo. Comincia la burocrazia dell’attesa, le trafile legali, gli strozzini, le cambiali. Tanto i soldi arriveranno. Alla fine arrivano. Sono tantissimi.

Cosa ci possono fare i Ciraulo? La decisione di come utilizzare la somma ricevuta riunisce tutta la famiglia intorno al tavolo della cucina. Nonna Rosa (Aurora Quattrocchi), nonno Fonzio (Benedetto Ranelli), la moglie-madre (Giselda Volodi) e Tancredi. È la scena più riuscita del film. In fondo non serve niente – lo dice Nicola – l’unica cosa è la macchina nuova, ha già il preventivo in mano. Non una qualunque, bensì la più bella, la Mercedes, nera o anche blu. L’automobile è il sogno, il riscatto nel quartiere, è l’orgoglio di Nicola. Finirà per essere la causa di un errore-orrore, troppo umano, come l’urgenza di sopravvivere.

Il film poggia su un soggetto potente, su alcune idee originali, e punta tutto su Servillo. L’intepretazione dell’attore partenopeo, però, non convince del tutto, troppi i cedimenti a tecnicismo di mestiere e perfezionismo, con il rischio di freddezza. Intense, la Quattrocchi e la Vodoli, nella scena risolutiva finale di cui sono spietate protagoniste.

La regia di Ciprì, al suo primo film senza Franco Maresco (Cinico TV), pur con alcuni pregi stilistici, muove incerta nel governo dell’ambizioso registro narrativo, che traballa fra grottesco, tragico e iperealistico, senza risolversi. Una menzione va alla fotografia (i volti, gli oggetti, gli spazi urbani) firmata dallo stesso Ciprì, che gli è valsa il premio della giuria alla 69ª Mostra di Venezia “per il miglior contributo tecnico”.

Interessante. Non imperdibile.