Gli equilibristi

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Regia: Ivano De Matteo
Anno: 2012

Roma. Una famiglia tranquilla, marito moglie e due figli. Una casa come tante, con i mobili e le lampade a muro dell’Ikea. Lui, Valerio Mastrandrea, fa l’impiegato al Comune. Lei, Barbara Bobulova, è receptionist presso un centro diagnostico. Tutto sembra semplice, banale, quasi noioso.

Un frettoloso fotogramma in apertura ci dice di un tradimento di lui con la collega bionda, negli archivi silenziosi e deserti dell’ufficio. Una “scappatella” ordinaria, come il luogo in cui si svolge.

Pochi preamboli e lo zoom piomba subito sulla moglie tradita, che piange in bagno dopo cena. Si lasciano. Qui parte il film. Lui se ne va. Inizia l’equilibrismo. C’è bisogno di un posto dove dormire, prima da un amico, con mamma anziana e badante dall’incerto italiano. Non va bene, non può restare. Inizia una nuova ricerca. La pensione alla stazione, ovviamente squallida.

Ma il problema sono i soldi. I conti sempre sul tavolino, non tornano. La figlia adolescente ha bisogno delle scarpe nuove, il figlio piccolo, dell’apparecchio per i denti. Problemi banali, in una città che urla il suo traffico caotico, le sue distanze, le sue esclusioni.

Comincia il declino personale, l’avviluppo nel degrado. Il doppio lavoro di notte dall’amico un po’ mafioso dei mercati generali. La solidarietà marginale, di qualche extracomunitario incontrato per caso in questo procedere ineluttabile verso la non-dignità, e la vergogna di sé. Fino all’apparire del buio. Fino al silenzio e alla sparizione. Una fortunata casualità, interrompe la tragedia, accendendo una luce nel finale.

Mastrandrea convince, interpretando con grazia questo ruolo, tutto drammatico, del passaggio: da persona perbene a quasi barbone. I gesti, gli sguardi e la voce si modificano, con certa maestria, traducendo la trasformazione esistenziale. La Bobulova, alle prese con una parte meno impegnativa, che pur sostiene con diligenza, non entusiasma ma non stona.

Di Matteo, attore più che regista, ha firmato soprattutto cortometraggi di ambientazione calcistica come Prigionieri di una fede (1999) o ProvocAzione (2000, in concorso al Torino Film Festival, e premiato con una menzione speciale). Con Gli equilibristi ci consegna un film ben fatto. Qualche incertezza nella tenuta della trama, ma alcuni passaggi sono di rara verità, quando punta la cinepresa sugli ambienti e sul contesto in cui la storia dipana.
La marginalità urbana, i volti degli anonimi, la cattiveria insita nella povertà, e insieme le sue poche risorse umanissime, i piccoli gesti di vicinanza.

Raffigurazioni sapienti, accompagnate da scelte stilistiche formali: la luce, per esempio, sempre cupa, radente, notturna, senza pietismi né retorica della denuncia, in un verismo asciutto, a tratti quasi pasoliniano. Da vedere.

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