Regia: Katsuhiro Otomo
Anno: 1988
Ricorre quest’anno il trentesimo anniversario del film Akira di Katsuhiro Otomo, capolavoro dell’animazione giapponese.
Akira nasce come fumetto manga nel 1982 dalla mente e dalla penna del disegnatore Katsuhiro Otomo. Viene prima pubblicato a puntate sulla rivista Young Magazine e poi raccolto in sei volumi e ristampato dalla casa editrice Kodansha.
Visto il gran successo raggiunto dal manga, per la trasposizione cinematografica Otomo (sceneggiatore, regista e disegnatore del film) coinvolge ben 1300 animatori sotto la sua direzione per dare vita al colossal considerato universalmente un capolavoro del genere cyberpunk e non solo.
Akira ci appare fin dall’inizio un film storico, anche se ambientato nel futuro. Lo scenario problematico di una società nel pieno di un tragico cambiamento è mostrato con grande impatto visivo. Dapprima la vecchia Tokyo vista dall’alto, il passato, poi una gigantesca esplosione atomica a segnare l’apice del terzo conflitto mondiale e una grande macchia rossa, come di sangue, rimane dove c’era la città, fino a prendere le informi sembianze di un’area devastata senza più alcuna identità, allora, appare in tutta la sua titanica espressiva violenza il gigantesco cratere lasciato dall’esplosione. Subito dopo siamo catapultati nei sobborghi decadenti della Nuova Tokyo (trent’anni dopo), il presente: strade fatiscenti, vicoli bui e malfamati con bar di quart’ordine in cui si spacciano droghe; manifestazioni di protesta e scontri con le forze di polizia segnano un malcontento che sta raggiungendo il suo apice. Il tutto dà l’idea di un mondo immaginario che pure ha una sua consolidata identità storica e sociale, quella della Tokyo post terza guerra mondiale.
In questo scenario, mostratoci di sera, evocativo momento in cui il gigante New Tokyo è ancora più terribile e guarda tutti con mille occhi luminosi, si aprono contemporaneamente tre storie particolari, ognuna coi suoi protagonisti, i quali poi si troveranno a far parte insieme della trama principale.
La prima storia riguarda due gang di motociclisti intente a darsi battaglia per le strade a colpi di catene e sprangate a duecento all’ora: la banda dei “Clown” e quella capeggiata da Kaneda, giovane disadattato che indossa un giacchetto rosso con disegnata sulla schiena una grossa pasticca.
Momento estremamente suggestivo, quello della corsa-rissa in moto, perché insieme alle due bande che si inseguono attraversiamo in un soffio la città, lasciamo i sobborghi per passare in quartieri lussureggianti con ristoranti chick e auto di lusso, fino a imboccare la tangenziale sopraelevata che salendo di quota insieme all’inquadratura fa apparire in una grande panoramica la titanica metropoli, addensamento di grattacieli giganteschi al limite del possibile puntellati di migliaia di minuscole luci, venata di strade sopraelevate brulicanti di attività, e cosparsa di giganteschi fari luminosi i cui fasci illuminano il cielo scuro.
Siamo allora consapevoli di trovarci in una società che non è più a misura d’uomo, divisa nettamente tra ricchi e poveri, in cui vie lussuose e piene di luci si alternano a quartieri ombrosi abbandonati a sé stessi dove rottami di vecchie auto, sporcizia e drogati costituiscono l’unico arredamento, e in cui titanici grattacieli “dormitorio” sembrano non avere alcun senso se non quello di imporsi e inghiottire. È un delirio urbanistico.
Contemporaneamente in un altro punto della città, due fuggiaschi braccati da agenti e cani poliziotti corrono a piedi nel traffico congestionato a causa di un corteo. Si tratta di un uomo ferito gravemente e armato di pistola che si tira dietro uno strano ragazzino il cui volto è coperto dalla visiera di un cappellino.
Infine ci viene mostrato un corteo di manifestanti, tra essi spicca una ragazza con un cappello rosso.
A questo punto capita che i due fuggiaschi giungano in prossimità della manifestazione. I poliziotti li hanno circondati. L’uomo spara alcuni colpi e viene immediatamente freddato dai mitra della polizia, fa giusto in tempo a gettarsi sul ragazzino per proteggerlo. La ragazza col cappello rosso, in mezzo ad altri manifestanti, si trova a guardare la scena. Il piccolo emerge illeso da sotto il cadavere crivellato dell’uomo; è un bambino dai capelli bianchi, con un volto da vecchio! È spaventato a morte, è terrorizzato dalla vista del cadavere insanguinato accanto a lui, è circondato e sperduto. Lancia un urlo di terrore, di disperazione e di rifiuto, immediatamente allora una grossa onda sonica manda in frantumi i vetri degli edifici circostanti e fa esplodere alcune macchine, allora lui si dissolve nel nulla.
Riapparirà sulla tangenziale dove si inseguono i motociclisti, e proprio in rotta di collisione con la moto, lanciata a tutto gas, del giovane Tetsuo, il vero protagonista/antagonista di tutta la vicenda. Questo è l’inizio mozzafiato del film.
La trama, sorretta dalla spettacolare colonna sonora, un rock tribale e psichedelico targato Geinoh Yamashirogumi (collettivo musicale giapponese composto da centinaia di persone), è una delle più famose nel panorama dei film d’animazione giapponese: Tetsuo si imbatte nel “Progetto Akira”, segreta sperimentazione in cui sono coinvolti i servizi segreti militari che si servono di tre esper (persone dai poteri psichici) tra cui Takashi, il bambino dai capelli bianchi. Coinvolti in tutto ciò sono anche alcuni terroristi tra cui Kei, la ragazza dal cappello rosso, i quali sono a conoscenza del progetto. Essi sembrano dapprima cercare di minarlo, ma poi comincia a insinuarsi il sospetto che in realtà abbiano l’intento di liberare il potere di Akira, tenuto nascosto dalle forze governative.
Tetsuo viene misteriosamente imprigionato dai governativi e sottoposto ad esperimenti; nella sua cella nascosta nel profondo del labirintico laboratorio-prigione (una delle scene più famosa del mondo) comincia pian piano a ricordare e scopre che anche lui da piccolo venne coinvolto nel progetto come cavia per un esperimento volto allo sviluppo di poteri psichici.
Il suo amico Kaneda (il protagonista) cercherà di liberarlo alleandosi con la cellula terroristica di cui Kei fa parte. Lei gli racconterà del mito di Akira, colui che raggiunse «l’energia pura» attraverso una connessione energetica con tutto il creato e con la memoria atavica di tutto ciò che è esistito da sempre. Gli racconterà che alcuni uomini del governo cercarono di controllare e fare esperimenti su quel potere, e «la distruzione di Tokyo fu inevitabile».
Questo è il visionario svolgimento di Akira. Mai visto niente del genere fino a quel momento, ma molto del genere si vedrà da allora in poi in tantissimi film, film animati, libri, manga e cartoni.
Indubbiamente il tema di una futura società distopica già esisteva, basti pensare ai racconti di Orwell e Ballard tra gli anni ’40 e ‘60, tuttavia l’alienazione sociale degli anni Ottanta, che contrappone in maniera ribelle e sfrontata, degrado, consumismo e rifiuto delle regole, e che ha consolidato movimenti underground di anticonformismo estremo come il punk, trovano in Akira una futurizzazione e una caratterizzazione particolarissima: è lo scenario brutale di una società irrimediabilmente malata nella quale un ché di spirituale e religioso fa da netto contrasto alla decadenza assoluta e allo stesso tempo si mischia con la scienza, con la macchina, con la ragione e con la politica in un’alchimia più che riuscita, facendo da capostipite a tante altre storie, vedasi Johnny Mnemonic (Robert Longo, 1995), Matrix (Lana e Andy Wachowski 1999), Ghost in the Shell (film d’animazione diretto da Mamoru Oshii nel 1995), per citarne solo alcuni.
Tuttavia nessuna di queste storie è completamente assimilabile a quella di Akira. In alcune di esse il lato mistico è decisamente differente, in altre è solo accennato o assente. Il cambiamento epocale e il senso di oppressione da cui liberarsi rimangono i comuni denominatori.
All’apice della storia Tetsuo, dotato di straordinari poteri psichici, è passato da uno stadio di confusione distruttiva a uno di estrema consapevolezza che lo porterà però al delirio di onnipotenza e all’abominio mentale e fisico. È in grado di distruggere e manipolare ogni cosa col solo pensiero.
L’emergenza è assoluta, ogni forza in gioco converge contro di lui. Egli è la nuova bomba atomica sul punto di esplodere sulla Nuova Tokyo. La sua forza mentale è senza briglie, e lui senza controllo; il suo corpo ferito dai colpi dei laser militari si rigenera assorbendo i rottami che trova sull’apocalittico campo di battaglia in cui egli è solo contro tutti, trasformandolo in un essere che non ha più molto di umano.
Nel pieno della devastazione, manifestanti al culmine dell’estasi ribelle, sono guidati da deliranti sacerdoti per le strade inneggiando ad Akira il salvatore: «Purificate i vostri corpi con il sacro fuoco. Non abbiate paura, Akira verrà!». Ma anch’essi vengono travolti dalla furia senza controllo di Tetsuo.
Il corpo di Tetsuo infine si trasforma in una gargantuesca, grottesca e insana aberrazione, proprio come la città di New Tokyo. Egli è un mostruoso gigante nel gigante, è l’espressione energetica e (im)morale della società in cui vive e di cui ha assorbito sia l’anima che la materia. Ma è solo un passaggio, perché egli si trova in procinto di divenire energia pura, come Akira prima di lui.
È così che in Akira si esprime il mito (o l’idea) dell’uomo-macchina, ma in chiave tutta giapponese. La città, grande meccanismo, ingloba ognuno nei suoi ingranaggi stressati e innaturali, proprio come fa Tetsuo inghiottendo chiunque gli si avvicini. Anche qui possiamo affermare che Akira sia stato l’iniziatore di una particolare verbalizzazione del concetto di rifiuto dell’uomo giapponese nei confronti del suo essere sempre più inglobato in una società meccanica e folle allo stesso tempo, di cui la metropoli è espressione e boia. Vedasi a riguardo Tetsuo: The Iron Man (1989) e Tokyo Fist (1995) entrambi di Shinya Tsukamoto (a tal proposito consiglio la lettura del libro Tetsuo: The Iron Man. La filosofia di Tsukamoto Shinya, una raccolta di saggi a cura di Matteo Boscarol, e nello specifico si veda il saggio di Giulio Vicinelli: Ontologia dell’umano nello stile di Tsukamoto.
Facendo tanti auguri ad Akira, rinnoviamo il nostro plauso al genio di Otomo.
Ovviamente da vedere e rivedere (se qualcuno non l’avesse ancora fatto!).