Regia: Sam Mendes
Anno: 2012
“Tutti hanno bisogno di un hobby”.
“E qual’è il tuo?”
“La resurrezione!”
In questa frase, forse, tutta l’essenza del film. Per nulla ad effetto, decisamente voluta e che racchiude la raison d’etre di un progetto lungo cinquant’anni.
Da quel Licenza di Uccidere (Dr. No, Terence Young, 1962) in cui Sean Connery vestì per la prima volta lo smocking più famoso del cinema è passato mezzo secolo e il personaggio creato da Ian Fleming ha tenuto incollate alle poltrone (più o meno tenacemente) almeno due generazioni di spettatori: con le sue avventure, le sue donne, i suoi gadget al limite del credibile e con quello stile che ne ha fatto un’icona del cinema di azione per antonomasia.
Ma come tutte le cose belle che prima o poi finiscono, anche per l’agente segreto più famoso del mondo sembrava esser giunto il confronto finale. Non contro il super villain di turno o vittima della fascinosa spia venuta da un est che è ormai storia, ma proprio contro quel pubblico che per mezzo secolo e 23 film lo ha seguito da un capo all’altro del mondo e che, arrivato ad un certo punto, quasi è sembrato voler dire basta. Non abbandonato, (non sia mai!), neanche reietto, tutt’al più colpito da una disaffezione legata alla reale improbabilità delle sue avventure.
Pessimo nemico il pubblico. In cinquant’anni si è smaliziato, è diventato più esigente, affamato di tecnologia, di avventure sempre più lontane dal lavoro di un agente segreto e più vicine a quelle di un supereroe. Fino al punto però di non immedesimarsi più in quel personaggio di cui si aspettavano le avventure. Quasi un’overdose.
E 007 sembrava esser rimasto intrappolato nei clichè creati dai suoi stessi film.
Il colpo di grazia, poi, nel 2002 con la comparsa sugli schermi di un certo Jason Bourne, personaggio col volto di Matt Damon (The Departed – Il bene e il Male di Martin Scorsese, 2006), creato dalla penna di Robert Ludlum (Un nome senza volto – The Bourne Identity,1980) e portato in sala dal regista Doug Liman (Mr & Mrs Smith, 2005) il quale, meno cortesemente di quanto Bond avesse mai fatto e con modi di sicuro più efficaci, in soli tre film (The Bourne Identity, 2002; The Bourne Supremacy, 2004 e The Bourne Ultimatum, 2007, Paul Greengrass) ha ridefinito l’immaginario dell’agente segreto.
Se Bond voleva sopravvivere, bisognava correre ai ripari. Doveva abbandonare l’immagine patinata del playboy, impegnato contro nemici che a lungo andare assomigliavano sempre di più al Dottor Male – stereotipato cattivo impersonato da Mike Myers nella saga di Austin Powers – e tornare con i piedi per terra. Trasformarsi in qualcosa che non era mai stato. Qualcosa che fosse sempre il Bond che tutti avrebbero riconosciuto ma visto da un’angolazione diversa, più vera. Insomma quello che è successo, azzardando un paragone un po’audace, con il Batman di Christopher Nolan.
Ed ecco, nel 2006, arrivare nelle sale Casinò Royale. Adattamento dell’omonimo romanzo di Fleming alla cui guida troviamo Martin Campbell (già regista di Agente 007 – Goldeneye, 1995), coadiuvato da Neal Purvis (veterano della saga, ha sceneggiato Agente 007 – Il mondo non basta, 1999 e Agente 007 – La morte può attendere, 2002). Nei panni di Bond, un semisconosciuto Daniel Craig (apparso l’anno precedente in Munich di Spielberg), che ha mandato in pensione lo 007 pettinato ed impeccabile nei suoi abiti sartoriali, per definire un personaggio nuovo di zecca, con un cuore, emozioni e soprattutto senza quell’aria da bravo ragazzo ormai demodé.
Non ancora una rinascita per l’agente segreto al servizio di Sua Maestà ma che ha convinto nel 2008 con il sequel Quantum of Solace di Marc Foster (candidato all’Oscar nel 2001 per Monster’s Ball e regista de Il Cacciatore di Aquiloni, 2007) in cui abbiamo avuto modo di abituarci a questa nuova rappresentazione di 007.
Giunti al ventitreesimo episodio della saga, il terzo con Craig, a 50 anni esatti da quando Sean Connery si presentò per la prima volta come “Bond, James Bond”, possiamo dire che 007 sia definitivamente risorto.
Al timone di Agente 007 – Skyfall c’è Sam Mendes (premio Oscar nel 2000 per American Beauty), affiancato dall’inossidabile sceneggiatore Neal Purvis, alla guida di un cast che vede, oltre a Craig nei panni di Bond, Judi Dench (Marigold Hotel, John Madden, 2012) nel ruolo di M (comandante in capo dell’ MI6 e di 007) e Javier Bardem (L’Ultimo Inquisitore, M. Forman, 2006) in quello che, probabilmente, è il cattivo più riuscito dell’intera saga: Raul Silva. Freddo, spietato, tradito. Una combinazione perfetta tra la raffinata crudeltà di Hannibal Lecter, e la malvagità di Anton Chigurh (personaggio che lo stesso Bardem ha interpretato in Non è un Paese per Vecchi dei fratelli Cohen nel 2007). Sorprendente.
Il passato è il leitmotiv dell’intero film. Il passato di M, il passato di Silva e quello di Bond. Il passato che si presenta per punire chi ha commesso errori. Il passato di chi era e non è più. Il passato di James Bond che ci racconta una storia sconosciuta, e che non rende poi così azzardato il paragone con l’Uomo Pipistrello.
Niente gadget (“Le penne esplosive non si usano più da tempo 007”), nessuna donna che non fosse al posto giusto nel momento giusto e la vera Bond girl del film – non me ne voglia Bèrènice Marlhoe, modella ed attrice francese, che interpreta la bella Sevèrine – è un’attempata Aston Martin DB3 di 50 anni.
Nel cast anche Ralph Finnes (Il Paziente Inglese, A. Minghella, 1996) nella parte del burocrate, per nulla inetto, Mallory. Naomie Harris (Pirati dei Caraibi – La Maledizione del Forziere Fantasma di G. Verbinski, 2006) è Eve, poco affidabile agente operativo ma che da dietro la scrivania farà sicuramente carriera e un Albert Finney (Erin Brokovich – Forte come la verità, S. Soderbergh, 2000) nel ruolo del vecchio Kincade, custode di Skyfall.
Come ogni celebrazione che si rispetti, non poteva mancare un adeguato commento musicale. Il title track del film è stato interpretato (e composto) da Adele che con Skyfall (diretto dal maestro J.A.C. Redford) ha riportato alla mente i grandi pezzi d’apertura cantati da Shirley Bassey (come Goldfinger dall’omonimo film del 1962 e Moonraker del 1979).
Il film è perfetto. Sorprendente nella storia e nella meccanica narrativa. Sam Mendes regala allo spettatore una storia piena di riferimenti a grandi capolavori del passato, auto citando la saga in due occasioni (per appassionati). Da vedere e rivedere.
Bentornato Mr. Bond!
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Recensione degna di un cinquantesimo anniversario. Non ho ancora visto il film ma, da appassionato non mancherò di gustarmi il ritorno di Bond. È’ così bello come dici?
Grazie per i complimenti e per esserti letto tutta la recensione che sembrava non finire mai! In seconda battuta, sì, il film è davvero bello! Sono passati un pò di giorni e ho avuto modo di farlo “sedimentare”. L’entusiasmo non è svanito e penso che meriti una seconda visione. Molti dettagli si perdono quando lo vedi la prima volta!
Per niente d’accordo.
Il film è una cagata mostruosa, inverosimile fino alla nausea, un polpettone di scene fritte e rifritte (come il combattimento sul treno), donne insipide, battute che non fanno ridere, trama contorta e ferma volontà della regia di rincretinire gli spettatori con effetti speciali, tuoni, spari, esplosioni, deragliamenti di metropolitane (vuote!), tuffi dentro cascate e ghiaccio, denti rosi dall’acido, tendenze omosessuali, moto sui tetti e chi più ne ha più ne metta.
Bond è una mummia senza espressione; fare sesso, scherzare o venir crivellato di colpi per lui non fa differenza.
Come sono lontane la classe e l’ironia di Connery!
Un film senza sostanza.
Pentitissima di essere andata a vederlo.
A voi
Evviva la sincerità!
Non posso non essere d’accordo con te che Connery era tutta un’altra cosa e che gli 007 di “una volta” non sono certo quello che si vede ora. Tuttavia, e credimi, parlo da appassionato del genere e da spettatore puro e semplice se ti fermi solo a quello che hai elencato, allora, qualunque film di azione che hai visto negli ultimi 10 anni ti sarà sembrato simile.
I film di Bond, purtroppo, fanno quest’effetto, tutti rimpiangono i bei tempi andati, Connery, l’ironia, lo charme di questo o la bellezza di quell’altra ma nessuno si ferma a considerare (o pochi lo fanno) che da mezzo secolo il prodotto “007” è pressochè immutato. Confezionato in un determinato modo e con degli standard di regia che saranno sempre gli stessi. Che la cosa ti piaccia o meno.
Non è un Dreyer e neanche un Von Trier, è intrattenimento puro. E non credo sia una questione di contenuto o men che meno di interpreti.
Dopo Connery tutti odiavano Moore. Arrivato Dalton, tutti rimpiangevano Moore.
Nessuno ha rimpianto Dalton.
La parentesi irlandese di Brosnan ha sembrato mettere pace fino a quando, come dicevo nella recensione, o si cambiava registro o Bond doveva lasciare il passo ai vari Bourne, Mission Impossible (ecco, su quello potresti trovarmi d’accordo) o gli improbabili XXX.
Sono tempi duri, purtroppo, e Connery rappresentava qualcosa che, nel bene o nel male, non esite più. Perchè allora tutto sembrava nuovo e bello ed esotico. E gli 007 dal ’62 in poi sono andati via via lasciando la spy story pura e semplice per trasformarsi in un fenomeno di costume prima e di specchio dei tempi,poi.
Naturalmente, i gusti sono gusti e se a te il film non è piaciuto non sarò certo io a convincerti del contrario.
Hai però notato il desiderio di un ritorno al passato? Non puoi negare che almeno gli ultimi tre film siano molto più simili a quelli di un tempo di quanto non lo siano stati tutti gli altri.
Concludendo,Bond è Bond e se volessi vedere uno che fa sesso e si sbellica dalle risate, che gli sparano e se la prende o che scherza, mi rivedo tutti e tre gli Austin Powers!!!
Leggendo la recensione, penso proprio che andrò a vederlo.
Grazie
Il film mi è piaciuto molto. Anch’io ho notato le somiglianze con il Cavaliere oscuro.
E se posso permettermi per me il più bell 007 fatto!
Gran bella recensione!!!!
Ciao
proprio qualche giorno fa ho visto uno speciale su questo film in tv (di cui non faccio nome) nel quale il regista dichiarava apertamente di voler intraprendere una di quelle cose che gli “amatori” del genere chiamano FOLLIA, cito testualmente le parole di Mendes ” “Prima di iniziare, mi sono chiesto: «Che faccio? Mi guardo tutti Bond che ci sono stati? Oppure non ne rivedo nessuno?» E ho scelto la seconda cosa.” che in effetti è la stessa cosa che è successa con il Batman di Nolan.
Ammetto che Daniel Craig non è il mio Bond preferito ma i completi di sartoria di 007 gli stanno a pennello: non fa perdere aplomb e stile all’unico uomo che riesce a far correre una ruspa su dei binari all’inseguimento di un treno in velocità…il tutto senza sgualcire le sue impeccabile e inamidatissime camicie! 🙂
perfetta la colonna sonora un po’ vintage. Non lo rivedrei ma è un film che non ha la pretesa, a parer mio, di essere più di un piacevole compagno di un pomeriggio invernale.
La recensione riporta alla memoria molti film da rivedere…grazie all’autore dei suggerimenti.
Cominciamo dal fondo. Innanzitutto grazie a te per l’intervento preciso e per aver dato un giudizio obiettivo su un film che a me è piaciuto molto ma che può, qua e la, far storcere il naso allo spettatore (in questo caso spettatrici visto che la maggior parte dei commenti a questa recensione viene da loro).
Anche io ho visto lo speciale cui ti riferisci e sono contento che tu abbia colto realmente il senso della “follia” compiuta da Mendes. E’ inutile insegnare nuovi giochi a vecchie rotelle. 007 è così da sempre. Farlo camminare sulle acque forse sarebbe risultato un tantino eccessivo e valeva la pena, quindi, tentare un approccio differente. Non so quanto Fleming avrebbe apprezzato, ma sicuramente il prodotto è buono.
Scavare nelle origini, dare al passato la giusta importanza per capire meglio il personaggio e confezionare un film nuovo con profumi retrò (colonna sonora compresa) è stata una pensata tanto geniale quanto lo è stato “serializzare” i primi due film dell’era Craig.
Detto questo non resta che aspettare il giorno in cui metteranno in commercio quelle camicie a prova di bomba visto che a me bastano due fermate di metro per uscire conciato come il miglior John Mc Lane dopo un episodio di Die Hard!!!
Certamente Daniel Craig non è certo il James Bond interpretato da Sean Connery ma, secondo me, finalmente siamo usciti dal baratro Pierce Brosnan.
Detto questo, a parte il leggero calo che si era avuto con “Quantum of Solace”, siamo ritornati ai livelli di “Casino Royale” se non superiori.
Un cast stellare di cui vorrei citare (a parte l’attore principale) soprattutto la figura di Albert Finney, con la sua aria seria e un po’ burbera, superbo :-).
Come non citare poi la colonna sonora cantata da Adele, sembra di tornare indietro nel tempo. La prima volta che l’ho sentita l’ho messa a ripetizione nel lettore.
Infine complimenti ancora per l’esauriente recensione.
Grande Max!
Comincio a pensare che Craig sia credibile come Bond solo per me!
In ogni caso concordo in pieno per quel che riguarda il “baratro Brosnan” (che, ahimè, è rimasto intrappolato nel personaggio anche ora che reclamizza casinò on line….sic!).
Kincade/Finney è stata una rivelazione anche per me, soprattutto nel contesto in cui è stato inserito. Sembra un po’ il vecchio Anthony Hopkins di Legends of the Fall (Vento di Passioni) e un po’ (tanto) il maggiordomo Alfred di Batman. E Skyfall sembra tanto Wayne Manor…….