Regia: Terrence Malick
Anno: 2012
Un uomo e una donna si sfiorano, si abbracciano, si baciano. Parigi fa da sfondo. Una voce fuori campo segue i pensieri della donna. Lo scenario cambia. Mont Saint-Michel. La spiaggia. Il tramonto. La marea che travolge i due amanti come la loro passione crescente. “L’amore che ci ama”, recita la voce femminile.
E a questo punto ci si aspetterebbe la scritta Christian Dior a caratteri cubitali sullo schermo. Invece no.
Per circa 112 minuti la pellicola rimane in bilico tra il documentario e la pubblicità di un profumo francese. La tentazione di scappare a metà film viene placata dall’effettiva meraviglia delle immagini e dalla sapiente fotografia.
La storia riapre la riflessione su quei crucci familiari che tanto piacciono a Malick: stavolta però, invece del rapporto genitore/figlio che abbiamo visto in The Tree of Life (2011), viene trattata la relazione uomo/donna.
Neil (Ben Affleck, che quest’anno ha conquistato l’Oscar per il miglior film con il suo Argo, 2012) e Marina (Olga Kurylenko, interpretò la Bond Girl nel 22° capitolo della serie, Quantum of Solace, 2008), americano lui, ucraina lei, si incontrano in Europa, si innamorano di un amore travolgente, come il mare che cresce sotto i loro piedi, come la magia di Parigi, come la potenza della natura che semplicemente esiste e vive senza freni, incurante di tutto il resto. Entrambi salgono (metaforicamente e non) le scale di una vita che promette di portarli verso la meraviglia. To the wonder, appunto.
Ma come accade spesso, con il tempo l’amore si affievolisce, diventa dapprima tenero, poi indifferente. Infine rabbioso e infedele. Neil ritrova una vecchia fiamma, Jane (interpretata da Rachel McAdams, attrice conosciuta anche in Italia grazie alla partecipazione in My Name is Tanino di Paolo Virzì, 2002). La devozione di Marina cede il passo all’adulterio insignificante (a questo proposito, è eloquente il contrasto tra la salita mesta e prosaica all’appartamento dell’amante occasionale, contro l’ascesa a panorami incantati che pochi mesi prima aveva condiviso con il suo grande amore Neil).
La storia della coppia si interseca (ma non si scontra) con la vita di Padre Quintana (Javier Bardem, che nel 2008 vinse l’oscar come miglior attore non protagonista in Non è un Paese per Vecchi dei Coen), un sacerdote in crisi che sta cercando la maniera di riconciliarsi con Dio. Sì, perché anche la fede può scemare, anche l’amore per la divinità può subire trasformazioni.
La vicenda si conclude con un nulla di fatto, per così dire: il finale rimane aperto sui protagonisti che individualmente ricercano un equilibrio, mentre la risacca marina li trascina altrove. Ma la speranza ultima è che la merveille, così come la bella stagione, il cielo sereno e l’alta marea, possa tornare.
Malick con la sua ultima fatica torna a dividere l’opinione pubblica e la critica cinematografica. Chi lo considera un genio, chi un mentecatto e chi un furbetto. Chi vede nelle sue opere grandi capolavori, chi le considera un prodotto di autoerotismo mentale volto a strizzare l’occhio a quella parte di pubblico che si autodefinisce d’élite. In medio stat virtus…
Certo che se The Tree of Life poteva essere considerata un’interessante sperimentazione, al di là dei gusti personali, To The Wonder è in odore di plagio: trama diversa, sì, ma non troppo e le differenze formali tra i due film sono davvero poche. E’ ovvio, un regista con una personalità così forte e singolare non può non lasciare la stessa impronta sulle sue opere, ma qui si assiste ad un tentativo di riprodurre e continuare un discorso che con il film precedente era già stato ampiamente sviscerato. Un figlioccio di The Tree of Life quindi che delude e produce un effetto negativo a posteriori sull’opera madre: una volta compresi la cifra stilistica, il panteismo invadente e l’idea di natura che imita e viene imitata dall’uomo, intriganti in prima battuta, in un secondo tempo tutto ciò lascia un senso di ridondanza ingiustificata.
La quasi totale assenza di dialoghi diretti, sostituiti da soliloqui interiori, appesantisce, ma non quanto il manierismo esasperato della regia.
La decisione poi di utilizzare gli idiomi originari dei personaggi (Neil parla in inglese, Marina in russo e francese, Padre Quintana in spagnolo), a voler significare una sorta di babelica incomunicabilità, interessante sul piano simbolico, produce un ulteriore sovra caricamento di senso.
Però una cosa è certa, la fotografia e le immagini scelte sono straordinarie e forse basterebbe questo per riabilitare in parte To The Wonder. Poesia allo stato puro e forse, come per alcune poesie, per apprezzare il lavoro di Malick bisognerebbe abbandonarsi ad un vero e proprio atto di fede, lasciare da parte ogni scetticismo, ammirandone semplicemente la sua natura emotiva…
Forse.