Regia: Yorgos Lanthimos
Anno: 2017
Anna (Nicole Kidman) e Steven Murphy (Colin Farrel) sono una tranquilla coppia borghese che vive in una bella villa a Cincinnati, con i figli Kim e Bob. Steven è uno stimato cardiochirurgo e il suo quotidiano è scandito dagli incontri con Martin (Barry Keoghan), un ragazzo sedicenne che vede quasi tutti i giorni dopo il lavoro o durante le pause. Martin è il figlio di un paziente operato anni prima da Steven e morto durante l’intervento: il giovane sembra ora voler instaurare con il medico un rapporto di fiducia, quasi per elaborare il lutto a distanza di tempo, e Steven segue il ragazzo con generosità e pazienza.
Quando il rapporto tra i due s’intensifica, Martin comincia a insinuarsi sempre più nella vita privata di Steven. Frequenta la sua casa e flirta con la figlia più grande, quasi sua coetanea. In un’atmosfera sospesa ed enigmatica, la presenza di Martin si fa via via più fastidiosa e insistente, fino a quando iniziano a manifestarsi eventi inspiegabili e inquietanti, che colpiscono i figli di Anna e Steven. Perso da un momento all’altro l’uso delle gambe, i due fratelli sembrano andare incontro ad un processo forse irreversibile, di fronte al quale la scienza non sa dare spiegazioni.
L’ordinata vita della coppia viene d’un tratto gettata nello sgomento e, mentre emergono verità e confessioni sconcertanti, Martin proietta Steven e la sua famiglia in un’inquietante scacchiera di vendetta, che ammette ben poche soluzioni.
Il regista greco Yorgos Lanthimos, con Il sacrifico del cervo sacro alla sua seconda opera in lingua inglese dopo The Lobster (2015), che indagava l’umanità in un futuro distopico, crea un’atmosfera surreale e asettica, che guarda al cinema di Kubrick, con rimandi a Shining (1980) e a Eyes Wide Shut (1999). Nello sviluppo narrativo, tenuto costantemente sul filo del rasoio, i personaggi si muovono quasi come automi, con gesti e dialoghi misuratissimi, obbedienti, si direbbe, a un destino già scritto che li sovrasta. Ad aumentare l’effetto di suspense, i prolungati silenzi di alcune scene, le inquadrature profonde, che esaltano gli spazi geometrici e algidi degli interni, e i lenti e precisi movimenti di macchina.
Il finale è spiazzante e rimanda alla tragedia greca classica, come fa presagire il titolo del film, lasciando aperti gli interrogativi, ma senza lasciare dubbi sulla parabola di colpa e di nemesi che si è consumata nel corso della vicenda. Ne esce sfaldata l’immagine rassicurante della famiglia, delle certezze degli affetti e, più in generale, dell’umanità. E viene ribadita l’irrazionalità di certi avvenimenti, della violenza, del male, rispetto a cui non c’è alcuna spiegazione.
A dar vita a questo psico-thriller dalle sottili venature horror, la sempre brava Nicole Kidman (Ritratto di signora, The hours, Stocker), qui statuaria e silenziosa, e Colin Farrell (Minority Report, Alexander, The way back), che dopo diversi ruoli in film adrenalinici, sembra essersi ritagliato un posto nel cinema d’autore, come nella recente pellicola di Sofia Coppola L’inganno (The beguiled, 2017), ancora in coppia con la Kidman. Vero outsider del film è il giovane Barry Keoghan (Dunkirk), che dipinge un adolescente dallo sguardo in bilico tra l’assente e l’inquietante, con una recitazione fatta per sottrazione che carica il personaggio di un che di disturbante.
Aprono e chiudono il film, come una cornice, le solenni note dello Stabat Mater di Schubert e della Passione secondo Giovanni di Bach, che accostano al tema della pellicola la sacralità della morte di Cristo e conferiscono all’opera di Lanthimos un ulteriore segno di autorialità.
Il sacrificio del cervo sacro (The killing of a sacred deer) è stato presentato in diversi festival internazionali e ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes nel 2017.