The Hours

Regia: Stephen Daldry
Anno: 2002

Non si può trovare la pace sottraendosi alla vita.
Virginia Woolf / Nicole Kidman

The Hours, presentato nel 2002 in concorso alla 59esima Mostra del cinema di Venezia non ottiene alcun riconoscimento ma nello stesso anno vince il Golden Globe come miglior film e Nicole Kidman il premio come miglior attrice in ruolo drammatico. Nel 2003 ottiene 9 nomination all’Oscar e Nicole Kidman vince la statuetta come miglior attrice protagonista.
La sceneggiatura del film, che ricalca in modo rigoroso l’intreccio narrativo del romanzo Le ore di Michael Cunningham, è di David Hare con cui Daldry collaborerà anche per il film The Reader (2008).

Stephen Daldry, dopo la sorprendente linearità di Billy Elliot, costruisce una trama dall’incredibile complessità strutturale, giocata tra i continui rimandi delle tre protagoniste.
Il film, come il romanzo, si intreccia su più piani narrativi unendo le vite di tre donne di epoche diverse, tutte accomunate dal romanzo La signora Dalloway e dalla voglia di vivere la loro esistenza in modo diverso da quello che la società ha scelto per loro. La prima è la stessa Virginia Woolf (Nicole Kidman che con una protesi nasale tenta di assomigliare alla scrittrice) che, nella Londra degli anni ’20, lotta contro la follia e sta tentando di terminare la stesura del suo ultimo romanzo La signora Dalloway. Virginia è indipendente e lontana dai valori familiari che governano la società del suo tempo. Tenta inutilmente di estraniarsi dalla sua esistenza borghese riuscendo soltanto ad aumentare la sua amarezza (esemplare, in tal senso, la difficoltà nel gestire i rapporti con i domestici).
La seconda è Laura Brown (Julianne Moore), insoddisfatta casalinga americana del dopoguerra, che trasfigura i suoi desideri di evasione nel romanzo che sta leggendo: La signora Dalloway. Incapace di realizzare i suoi sogni di indipendenza, come la scrittrice prima di lei, sembra pronta a mettere in gioco tutta la sua vita.
La terza è Clarissa Vaughan (Meryl Streep), una moderna signora Dalloway, editor newyorkese, che vive con la compagna Sally e sta organizzando l’ultima festa in onore del suo amico ed ex amante Richard (Ed Harris), che si sta spegnendo a causa dell’AIDS.
Ci sono fiori da comprare e da regalare, visitatori in anticipo da accogliere, suicidi desiderati e realizzati, languidi baci tra donne a scandire le identiche ore di queste vite legate indissolubilmente nella ricerca del significato della propria esistenza.
Il regista sfrutta abilmente i punti di contatto tra le vite delle tre, per effettuare i passaggi d’epoca necessari alla storia, emblematica la sequenza d’apertura: attraverso il montaggio, si spezza il diverso flusso temporale di tre accadimenti successivi, rimescolando i momenti in un unicum narrativo di grande compattezza e tensione emotiva (la Woolf scrive la lettera di addio al marito, la scrittrice tenta il suicidio buttandosi nel fiume, il marito rincasa e trova la lettera).

Non si tratta di cinema di ricerca, è cinema di narrazione ma nonostante questo il film risulta una sorta di prova di virtuosismo intellettuale (contribuisce anche l’atmosfera creata dalla colonna sonora di Philip Glass).
Il tema dell’omosessualità femminile è trattato prestando la massima attenzione a non incorrere nelle maglie della censura ma l’impressione che ne risulta è quella di una posizione un po’ troppo retorica e politically correct.

Michael Cunningham, nel romanzo, scrive dell’ambiguità dell’identità sessuale e del desiderio giocando con una scena centrale nel testo woolfiano: il ricordo di un bacio. La signora Dalloway dell’omonimo romanzo è sposata con un uomo, ma ricorda con viva nostalgia un bacio scambiato trent’anni prima con l’amica Sally, da cui evince il lettore (e la stessa Clarissa) il desiderio di un amore lesbico mai soddisfatto. Il (convenzionale) matrimonio ha un ruolo determinante nella pesante depressione che avvolge l’aura di Clarissa.
Clarissa Vaughan, la signora Dalloway (così ribattezzata dall’amico Richard) de The Hours, ha una relazione stabile con una donna (Sally) ma uno dei ricordi ai quali è più legata è quello di un bacio con Richard, l’amico omosessuale, che risale ai tempi della loro gioventù.
Lo stesso bacio muove Laura Brown verso l’amica (e vicina) Kitty, e muove Virginia verso la sorella Vanessa. Un sottile file rouge che si lega al più ampio fluttuare delle identità e degli affetti, una fluidità che è sia del personaggio in quanto rappresentazione di un essere umano, sia del personaggio in quanto elemento di un testo.

Un gioco metanarrativo in cui Cunningham esalta l’atto della lettura e della scrittura, in un costante parallelo tra la creazione artistica e la costruzione dell’io, messaggio che non filtra dalle scene del film.
I personaggi, nella trasposizione filmica, non perdono l’insoddisfazione, la rabbia, il desiderio di perfezionismo e il sogno della fuga ma non conservano (così palesemente) la ricerca del sé che, in talune circostanze, sembra l’effetto di una nevrosi o della depressione.
Il film esalta alcune caratteristiche delle persone-personaggi trasformando, ad esempio, Kitty (la vicina di Laura Brown) nell’incarnazione dei valori della classe media americana post-bellica.
Le tre storie, che nel libro sono legate indissolubilmente dal testo woolfiano con rimandi e citazioni, sono montate in modo fluido e parallelo sullo schermo. Un esempio è la scena in cui Laura Brown, sdraiata nel letto di un albergo, medita il suicidio e lo spettatore lo intuisce per analogia poiché la stanza si riempie dell’acqua di quel fiume che ha travolto (e ucciso) all’inizio del film Virginia Woolf. Nel libro, lo stesso effetto è dato dal discorso interiore di Laura che riflette sul suo suicido e immagina la morte della Woolf.

Entrambi i media rimandano ad una visione laica e pessimista del senso della vita ma il film (forse per sua natura) non lascia trasparire la sottile trama di sensazioni (ed emozioni) regalate dal libro. Il romanzo risulta più esaustivo e lineare nella sua complessità mentre il film (benché non privo di suggestioni) sembra incastrato nelle maglie del mercato cinematografico.
Il target di riferimento di Cunningham è un pubblico circoscritto, presumibilmente di cultura medio-alta. Le tematiche sono quelle attuali: omosessualità, scorrere del tempo, rapporto con la morte, maternità. Lo stile è asciutto, per lo più costruito con frasi brevi, ma i rimandi al testo della Woolf benché ottimamente orchestrati non sono, a mio avviso, pensati per un pubblico di massa. Problema che il film supera (o forse non si pone) tanto che sarà quest’ultimo a dare la notorietà allo scrittore, prima conosciuto (ed apprezzato) principalmente da un pubblico ristretto (colto ed omosessuale).