Promised Land

Regia: Gus Van Sant
Anno: 2012

Il film che la lobby dei petrolieri ha tentato invano di sabotare“. La locandina italiana di Promised Land proietta da subito nell’attualissimo tema caratterizzante l’intera pellicola: il conflitto ambientale per il territorio.

La regia di Gus Van Sant (Scoprendo Forrester, 2000; Milk, 2008) fornisce senza dubbio un’eleganza bucolica al film, attraverso paesaggi rurali e piccoli dettagli della provincia americana, ma la storia è alquanto familiare.

Matt Damon (Ocean’s Eleven, Steven Soderbergh, 2001; Invictus, Clint Eastwood, 2009), già attore per Van Sant in Will Hunting – Genio Ribelle (1997), interpreta Steve Butler, rappresentante di punta di una grande multinazionale, la Global.

Quest’ultima, specializzata nel fracking (un processo di trivellazione che permette l’estrazione di gas naturale dalla profondità del terreno), invia il protagonista nella cittadina di McKinley, in Pennsylvania, insieme alla sua collega Sue Thomason (Frances McDormand – Burn After Reading, Joel Coen, 2008; Moonrise Kingdom, Wes Anderson, 2012).

La vera forza di Steve si trova nella sua profonda convinzione riguardo il prodotto che sta vendendo: cerca, infatti, di dare speranza ad individui spesso scoraggiati, offrendo loro un futuro che non dipenda dai miseri sussidi agricoli. Ed è proprio questo che lo spinge a credere nella risposta positiva degli abitanti alla proposta della sua azienda.

Il fine è quello di persuadere i cittadini, colpiti anche loro dalla crisi economica degli ultimi anni, a cedere i diritti sullo sfruttamento dei giacimenti che si trovano nel sottosuolo di quella piccola provincia, il tutto in cambio di una percentuale sui possibili futuri guadagni.

L’incarico sembra essere semplice, ma diversi ostacoli si porranno di fronte al protagonista, che farà vacillare la propria convinzione nelle cause sostenute fino a quel momento, cominciando a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni. Dapprima un insegnante del liceo locale ( Hal Holbrook – Into the Wild, Sean Penn, 2007; Lincoln, Steven Spielberg, 2012), che chiede di mettere al voto l’offerta avanzata dalla Global, ed in seguito un attivista ambientale (John Krasinski – Jarhead, Sam Mendes, 2005; Nobody Walks, Ry Russo-Young, 2012), che farà crescere un sentimento anti-multinazionale fra i residenti della piccola comunità.

Un argomento tanto attuale quanto complicato quello del fracking, che Gus Van Sant cerca di adattare alla cinematografia tramite un conflitto: quello che pone corporation e oscuri burocrati contro idealisti e sostenitori dell’ambiente. E proprio su questa battaglia è radicata la riflessione su cui sporge l’intera storia: la lotta per la sopravvivenza delle province (non solo americane), che scompaiono di fronte ad una globalizzazione aggressiva.

Il regista vola lontano dalla rotta cinematografica da lui solitamente percorsa (d’altronde dietro la macchina da presa avrebbe dovuto esordire lo stesso Matt Damon, che ha poi ceduto il posto a Van Sant), andando a creare un prodotto mediocre e senz’altro troppo corretto.

Sembra impossibile, infatti, che un lungometraggio di questo genere, sterile ed innocuo, possa aver angosciato le potenti lobby petrolifere. Ben lontano dalla critica o dall’attacco alle multinazionali, Promised Land è soprattutto una semplice riflessione psicologica, che però schiva risposte risolutrici proprio per evitare spargimenti di sangue.

Se nella trama del racconto si vuol far spiccare questo perenne contrasto fra mondo cittadino, unicamente mosso da ragioni economiche, e provincia rurale, legata al rispetto e all’amore per la propria terra, a livello stilistico emerge un nuovo conflitto: quello fra attualità ed originalità della pellicola. La prima, punto forte del film, tende a coinvolgere lo spettatore, la seconda, quasi assente, lo riporta su sentieri conosciuti, smascherando la mancanza di novità nel copione.

Chi non manca di originalità è invece Gus Van Sant, che non ricalca temi a lui familiari, ma si cimenta nell’esplorazione delle complesse problematiche appartenenti alla vita rurale. Il regista statunitense non è al top, e si vede.

Il risultato? Un film debole, che non valorizza le straordinarie doti di chi lo dirige.
Colpa anche della sceneggiatura? Può darsi. Damon e Krasinski fanno del loro meglio nel ruolo di sceneggiatori, ma l’assenza dell’autorevolezza van-santiana in questo ambito emerge in modo sensibile.
In poche parole? Promised Land: notevoli le potenzialità della storia, ma troppo debole il suo impatto. Peccato.