Paris – Manhattan

Regia: Sophie Lellouche
Anno: 2012

Alice è una brillante farmacista parigina che adora i film di Woody Allen. Colta e affascinante, non riesce a trovare l’uomo giusto per lei. Pressata dai genitori e dalla sorella, che la vorrebbero felicemente sposata, incontra Victor, un simpatico costruttore di allarmi, dai gusti decisamente opposti ai suoi. Tra schermaglie, battute e consigli cinefili, scatterà la scintilla tra i due?

Per l’esordio sul grande schermo, la francese Sophie Lellouche confeziona una commedia sentimentale ironica e frizzante. Forse non così originale, ma certamente ispirata e godibile, che non annoia e non si dilunga in inutili melensaggini. Il fil rouge che lega insieme tutta la vicenda è la presenza del totem cinematografico Woody Allen (Alice ne conserva in camera un poster con cui dialoga e si consulta), vero padre spirituale del film e perno catalizzatore della narrazione.

Non si tratta di semplice accumulo di citazioni-omaggio e spezzoni filmici vari. Sophie Lellouche, più opportunamente, delinea il racconto e le dinamiche tra i personaggi ricalcando stili, situazioni, atmosfere e figure tipicamente alleniane. In particolare, è come se si respirasse, in ogni fotogramma, qualcosa del Woody più leggero e umoristico. Quello sguardo sarcastico e allegramente disincantato con cui Allen da sempre guarda all’imprevedibile commedia umana, alle nevrosi e alle contraddizioni della borghesia intellettuale.

Le appassionate conversazioni tra Alice (Alice Taglioni) e Victor (Patrick Bruel) sul senso della vita, la morte, l’amore, tra passeggiate notturne e code al supermercato, rimandano a quelle di Woody e Diane Keaton in Io e Annie (“Annie Hall”, 1977) e in Manhattan (1979). Ci sono i bisticci, le invidie e le rivalità tra sorelle come in Hannah e le sue sorelle (“Hannah and her sisters”, 1986). Il personaggio della madre alcolista di Alice, che rimpiange di aver sacrificato una brillante carriera per dedicarsi alla famiglia, è tratteggiato su quello omologo presente in Interiors (1978). Alice penetra di soppiatto con Victor nell’appartamento della sorella, per indagare sulla presunta infedeltà del cognato. Poi, nascosta in macchina, spia l’appuntamento della nipote. Un gioco di pedinamenti e comiche investigazioni che ricorda la struttura di Misterioso omicidio a Manhattan (“Manhattan Murder Mystery”, 1993).

La trovata più apprezzabile è senza dubbio il personaggio della farmacista cinefila. Alice non dispensa medicinali, ma somministra pillole di saggezza tratte dai film di Allen, regalando dvd ai suoi clienti (e perfino a un imbranato ladruncolo che tenta di rapinarla). Tutto quello che dovreste sapere su Woody Allen, ma non avete mai osato chiedere. Almeno non al bancone di una farmacia. A ciascuno il suo film, un balsamo cinematografico per ogni malanno. Una cura ricostituente per ansie e depressioni. L’unica medicina per lenire i dolori dell’anima. Da assumere in dosi massicce. “Mattino, pomeriggio e sera” prescrive Alice. Non c’è il libretto illustrativo (della vita, dell’amore). Non ci sono controindicazioni né effetti collaterali. Solo una pronta guarigione dai tormenti del quotidiano. D’altronde, gli altri rimedi per rilassarsi proprio non funzionano (“Il pilates? Uno yoga in salsa Kamasutra” si dice in un punto).

I due protagonisti danno vita a scambi e incroci interessanti. E’ Alice la fanatica di Woody Allen. Eppure Victor, che non ha mai visto un suo film, è il tipico, cinico pessimista alleniano, conscio dell’inutilità e della caducità dell’esistenza. Sullo sfondo, si percorrono le tortuose vie dell’amore. E, al riparo da ipocrisie, si sperimentano con serenità spensierata le bizzarrie della sessualità, sempre seguendo i mantra alleniani: dall’amplesso uomo-pecora di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, ma non avete mai osato chiedere (“Everything You Always Wanted to Know About Sex (But Were Afraid to Ask)”, 1972) al ménage à trois della sorella di Alice, che ricorda il triangolo amoroso di Vicky Cristina Barcelona (2008).

Ma dove si trova la felicità autentica, genuina? Forse è necessario abbandonare, dolorosamente, le proprie illusioni. Uccidere a malincuore i propri miti (Alice nel finale stacca l’amato poster di Woody dalla parete). Svincolarsi da fantasie che, seppur preziose e rassicuranti, ci mantengono troppo distanti dalle opportunità che offre il presente, lontani da affetti ed emozioni (come accadeva al Gil di Midnight in Paris, 2011). Alice è come risucchiata nella palla di vetro con il nevischio che vediamo nell’incipit del film, in cui l’immagine della Tour Eiffel (il romanticismo francese) dissolve in quella della Statua della Libertà (la poesia malinconica della New York di Woody Allen). Intrappolata dunque tra le due sponde di uno stesso immaginario, seducente ma fittizio. Paris – Manhattan, appunto.

Curiosamente, Victor fa il percorso inverso. Riesce a farsi avanti, a dichiarare i suoi sentimenti ad Alice, solo dopo aver varcato la soglia del cinema. Trovandosi faccia a faccia con Woody Allen (in un gustosissimo cameo) in una stanza d’albergo.

Una briosa e divertente commedia romantica. Imperdibile per i fan di Woody Allen.

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