Il sole dentro

Regia: Paolo Bianchini
Anno:
2012

“I piccoli sono il futuro del mondo, e un giorno i grandi dovranno ascoltarli”.
È questo che il folle Padre X (Francesco Salvi) -probabilmente il personaggio più bello de Il sole dentro– dice a Thabo e Rocco.
I due ragazzini, il primo africano il secondo italiano, si sono conosciuti nelle giovanili di una squadra di calcio che assolda belle speranze. Il team decide però che il piccolo guineano non ha il talento necessario, e il suo manager lo abbandona letteralmente.
L’amico Rocco muove alla sua ricerca e, una volta trovatolo, decide di seguirlo in patria. Salpano da Bari alla volta di N’Dola, dove vive la famiglia di Thabo. Un viaggio avventuroso (anche perché lo stesso ragazzino non sa dove si trovi il suo villaggio, se non genericamente in Africa), costellato da personaggi salvifici, che prestano il loro aiuto per il raggiungimento della meta (oltre il già citato Padre X, l’autista di pullman interpretato da Giobbe Covatta, lo speaker Philippe di radio Oasis, la mister Pasta e fagioli Angela Finocchiaro, il console onorario interpretato da Diego Bianchi).
Una traversata che giunge a buon fine, al contrario di quella parallela, ma avvenuta 10 anni prima, intrapresa da Yaguine e Fodé, due adolescenti connazionali di Thabo, che decidono di consegnare personalmente una lettera “Alle loro Eccellenze i membri e responsabili dell’Europa” per descrivere la condizione dei bambini nel loro Paese e chiedere aiuto. Per questo si nascondono nel vano carrello di un aereo diretto a Bruxelles, dove troveranno la morte per congelamento.

Due viaggi della speranza: uno in direzione dell’utopia Europa, l’altro a ritroso verso le origini, verso un’Africa dura, proibitiva, eppure ammaliante, struggente e vera: lo asserisce Thabo, quando sostiene di avere 7 tra fratelli e sorelle eppure di ricordare il nome di tutti, a differenza di Rocco che ha un’unica sorella (figlia di suo padre ma con una madre diversa) che non sa nemmeno come si chiami. Lo stesso ragazzino italiano si decide a lasciare Bari perché sostanzialmente privo di legami, per seguire quello che, in buona sostanza, rappresenta ormai il suo unico affetto.

La pellicola ha notevoli pregi. Innanzitutto quello di affrontare una serie di temi delicati e drammatici (la situazione africana, la clandestinità, gli abusi sui minori) con la levità che, forse, è propria solo dei bambini!
Ottimi i dialoghi: poche sono le battute scontate o i buonismi ai quali si cede, a fronte invece di scambi semplici ma molto diretti (al cuore…).
Belle la fotografia e la scenografia, che si fregiano degli spettacolari paesaggi africani (ma una nota di rilievo tocca pure a Bari, in particolare nella zona del porto, col suo faro).
Molto toccanti le musiche, con melodie vivide  e ritmi di marcia che ben si adattano al peregrinare dei piccoli protagonisti. Generoso l’impegno degli attori, sia quelli professionisti, tutti molto coinvolti (per la maggior parte collaboratori di agenzie umanitarie) e coinvolgenti (una piccola nota di demerito solo al console interpretato da Bianchi, divertente ma forse eccessivamente caratterizzato), sia quelli non professionisti (il regista Paolo Bianchini, ambasciatore UNICEF, ha optato, scelta assai rara, per le popolazioni locali).
Molto accattivanti alcune immagini: quella degli aquiloni che svolazzano fuori la capanna di Padre X; la vicenda dell’eco nel deserto che coinvolge ancora il personaggio interpretato da Francesco Salvi; Yaguine e Fodé che, presi dal freddo, indossano le giacche perbene che avevano portato per l’incontro con le Eminenze europee, salvo poi calzare i sandali; e altre ancora.

In conclusione, una pellicola che tratta di sentimenti (l’amore, la solidarietà, il rispetto, la speranza di un futuro migliore, “un futuro che per tutti è l’Africa” come viene espresso nel film), senza essere sentimentale. E che strappa le lacrime nel finale quando, all’apparizione di una data (2 agosto 1999), si capisce che quella di Yaguine e Fodé è una storia vera.

[adsense]