Il Regno di Ga’Hoole – La leggenda dei guardiani

Regia: Zack Snyder
Anno: 2010

Dai primi tre libri della saga fantasy scritta da Kathryn Lasky, un racconto per immagini, leggendario, che spinge ancora una volta l’animazione oltre i propri confini.

Un barbagianni di nome Soren si appresta a compiere il suo viaggio dell’eroe in un minimondo fuori dal tempo e dallo spazio. Sognatore, con i grandi occhi luccicanti di chi si lascia sedurre dalla vita, finisce per scontrarsi ben presto con il cinismo del suo alter ego, e fratello, Kludd. Caduti dal nido durante un’esercitazione di volo, i due barbagianni vengono rapiti dai Puri e portati nell’abbazia di Sant’Egolio. Si ritrovano prigionieri di una razza di gufi malvagi che ha costituito un sistema totalitario e fa del terrore lo strumento di governo. Chi è abbastanza dotato da diventare uno spietato guerriero sarà addestrato alla guerra, chi inadatto, schiavizzato e messo ai lavori forzati. Mentre Kludd sposa la folle idea della razza pura e si arruola nel temibile esercito, Soren pianifica la fuga dall’inferno in cui è precipitato. Dal coraggio e dall’istinto del giovane barbagianni dipenderà la sorte di piccoli gufetti, cui è stata tolta la possibilità di osservare i colori del giorno e della notte. Alla ricerca del Grande Albero, casa dei leggendari guardiani del regno di Ga’Hoole, nuovi amici e sfide da superare coinvolgono il protagonista, prima dello scontro finale.

È l’eterna battaglia tra il bene e il male, dove il bianco e il nero hanno sfumature di grigio in personaggi che sembrano animati da entrambi i colori. Primi piani ad arte enfatizzano la complessità psicologica dei protagonisti di questa storia. I gufi sono caratterizzati da un’espressività in evidente contrasto con la loro fisionomia naturale, che li restituirebbe impassibili e imperscrutabili.

La narrazione filmica ci guida in un volo onirico con scali di riflessioni attorno a temi mai toccati prima dal genere. Sulla linea del racconto di formazione s’insinua spesso un livello più profondo di significato. Trattato con la delicatezza e la cura che merita, il regista porta nel mondo dell’animazione un argomento spesso affrontato dai libri di storia e dalle vecchie pellicole cinematografiche: il totalitarismo e le sue terribili conseguenze. Rileggendo la sequenza delle immagini in questa chiave, i puri condividono tutti gli aspetti della più celebre razza ariana.
Non solo l’ideologia malata alla base del sistema ma anche tutti i mezzi a servizio del regime; la schiavitù e la cecità indotta sono un dolore concreto per chi osserva impotente la crudeltà estrema di dinamiche conosciute. Il pensiero che corre ai campi di concentramento è un link quasi inevitabile. Se un film d’animazione può raccontare tutto questo si deve necessariamente riconoscergli una maturità ogni giorno più sorprendente.

Esteticamente ci si trova di fronte ad un’altra opera visionaria del regista di 300 (2006) e Watchmen (2009): si resta rapiti da un’animazione digitale che raggiunge un livello tecnico e qualitativo strabiliante. La cura maniacale dei dettagli dei soggetti e delle ambientazioni oniriche non può passare inosservata.
Musiche (tra cui spicca il main theme “To The Sky” degli Owl City) e immagini si sposano in una sublime danza arricchita da rallenty, in una simbiosi che lascia trasparire le influenze dei videoclip degli esordi.

Mai come ne Il Regno di Ga’Hoole, le immagini in alta definizione rapiscono lo sguardo e spalancano gli occhi alla meraviglia.

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