Boyhood

Regia: Richard Linklater

Anno: 2014

Voglio solo combattere come chiunque altro, intona un verso della canzone, colonna sonora del film Boyhood, in uscita il 23 ottobre in Italia. La storia di chiunque, la storia di una vita: speciale, ma uguale a quella di tutti, è quello che rende questo film unico. Oltre ai 12 anni di lavorazione, distribuiti in 39 giorni, che hanno seguito la crescita di Mason (Ellar Coltrane) e degli altri personaggi.

ellar_coltrane_boyhoodDifficile raccontare la trama di un film che non ne ha. Gli eventi si susseguono nella vita dei personaggi: matrimoni, divorzi, scuole, lavori, trasferimenti, ma nulla di grandioso avviene, se non lo svolgersi della quotidianità. Ed è probabilmente la più grande verità sulla vita, quello che ci ricorderemo alla fine del nostro viaggio: quel compleanno a casa dei nonni, quando mi regalarono una bibbia e impugnai un fucile per la prima volta, quel cd dei Beatles, la gita al lago con mio padre, la collezione di frecce, l’odore dell’erba della mia prima casa.

Tutto cambia, tutto scorre, nell’universo di Mason, tra i diversi trasferimenti e matrimoni dei genitori, interpretati dal fedele Ethan Hawke e da Patricia Arquette. E se la sorella (la figlia del regista, Lorelei Linklater), resta un poco sullo sfondo, i personaggi del padre e della madre sono ben caratterizzati nel tempo: il padre ideale, che parla di sesso ai propri figli, che li rende partecipi delle proprie passioni, che li spinge a dialogare con lui. La madre, dedita ai propri figli, ma che si ritrova in matrimoni disastrosi e che con coraggio porta avanti la propria vita professionale. Uno degli elementi mutevoli nella vita di Mason, sarà proprio il rapporto con la madre che, a differenza del legame paterno, darà una scansione ai momenti della sua vita. I suoi occhi saranno sempre rivolti a lei in modo silenzioso e comprensivo e la guarderanno in quel modo particolare all’occorrenza di una svolta, quasi a segnare l’inizio di un nuovo capitolo nella narrazione.

BOYHOOD

Richard Linklater è stato molto attento nel collezionare momenti in cui lo spettatore può riconoscersi, attraverso avvenimenti topici: dal libro di Harry Potter, alla canzone di Britney Spears, dalle elezioni di Obama a Facebook. I riferimenti, oltre ad essere nella narrazione, sono anche musicali: attraverso il padre, grande appassionato di musica, il regista ripercorre una storia di vita, che è quindi fatta anche di canzoni. Così passiamo da Yellow dei Coldplay a Deep blue degli Arcade Fire, attraverso un omaggio particolare ai Beatles : la compilation regalata dal padre a Mason, The Black Album  e la lettera hanno, infatti, un’origine nella realtà: Ethan Hawke li aveva preparati per Maya, la sua figlia maggiore.

«Tutto quello che si vede nel film ha un legame con la realtà», ha raccontato Richard Linklater a TIME . «Ho voluto che funzionasse allo stesso modo per la musica. Volevo ottenere un effetto del tipo “quella canzone l’ho sentita alla radio in macchina quando mi ero appena lasciato con la mia ragazza, e mi ha fatto pensare che sarebbe andato tutto bene”» (l’esempio si riferisce a Hero, dei Family of the Year).Quello che interessa a Linklater, spiega, è che qualcuno abbia un’esperienza emozionale con le canzoni e non che rimangano suoni di cui nessuno possa avere opinioni.

Dopo due ore e 40 e la trasformazione dei personaggi, lo spettatore sembra essersi affezionato a loro, come alla imagesfine di una serie televisiva di otto stagioni, ma l’effetto da La Vie d’Adèle  (2013, Abdellatif Kechiche) risulta meno radicale e documentaristico. In fondo, il regista, ci aveva già abituato alla poesia del tempo che passa, con la trilogia della storia d’amore tra Jesse e Celine: Before Sunrise nel 1995, Before Sunset, nel 2004 e Before Midnight nel 2013.

La pellicola, che ha vinto l’orso d’argento per il miglior regista al 64esimo festival di Berlino, sembra essere un regalo sul carpe diem invertito. Ci hanno insegnato a cogliere l’attimo, ma alla fine ogni momento sta cogliendo noi, anche se rimaniamo fermi. Illuminante l’ultimo discorso della madre al figlio in partenza per l’università: credeva di avere tanto tempo e invece, matrimonio, figli, lavoro, il tempo che passa e alla fine è tutto qui, credeva ci fosse di più…sulle parole di Patricia Arquette, all’improvviso, sembra essere lo stesso regista che ci parla della sua opera, come a rassicurarci e allo stesso tempo informarci, del fatto che un film così particolare, alla fine, è solo questo: semplicemente, la vita.

Un film da vedere perché rimane impossibile guardarlo restando indifferenti al proprio viaggio: per un attimo sembra di essere catapultati in uno di quei vecchi filmini di compleanno, ma oltre alla nostalgia, resta un senso di pace.
Io l’ho guardato il giorno del mio compleanno, in un cinema vuoto di Parigi e ho soffiato 13 volte le candeline con Mason; ma se non vi basta come motivazione, qui troverete 20 motivi, più validi dei miei, per andare a vedere Boyhood.