Una battaglia dopo l’altra

una battaglia dopo l'altra

Regia: Paul Thomas Anderson
Anno: 2025

Ritratto spietato e attualissimo dell’America, Paul Thomas Anderson torna al cinema, firmando un’opera potente, politica, venata d’umorismo. Una battaglia dopo l’altra è il resoconto della battaglia quotidiana di un gruppo di attivisti rivoluzionari di estrema sinistra che organizza liberazioni di immigrati in centri di detenzione, attentati contro banche e importanti uffici direzionali. Tra le fila di questa organizzazione militano Bob Ferguson (Leonardo DiCaprio), idealista e sognatore, nonché esperto fabbricante di bombe, e Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor), afroamericana sboccata e rude, una scheggia impazzita che all’occorrenza va di mitraglia come un’indemoniata. I due stanno assieme e presto avranno anche una figlia, Willa.

Alle calcagna di questi rivoluzionari si mette l’inflessibile  colonnello Lockjaw (Sean Penn), che si scopre sessualmente attratto dall’appeal selvaggio di Perfidia. Un attentato dopo l’altro, la pedina, la cattura e riesce infine a farla confessare in un programma di protezione testimoni, decimando col suo aiuto il gruppo anarchico. Bob, rimasto solo con la piccola Willa, si dà alla fuga andando a vivere in clandestinità tra i boschi isolati della California, dipendente da droghe e alcool, ma anche padre estremamente protettivo. Anni dopo Lockjow, accresciuto il suo prestigio nell’esercito, cerca di entrare in una società segreta di estrema destra di ricchi suprematisti bianchi dall’improbabile nome “I pionieri del Natale”, che esige dai suoi adepti, tra le varie cose, il non essersi “macchiati” con rapporti interraziali.

Un’ombra si stende su Lockjow, che non solo ha avuto un torbido e fugace rapporto con Perfidia, ma potrebbe essere addirittura il padre di Willa. Scatta allora la folle e assurda ricerca di quella bambina ormai sedicenne per ripulirsi dal passato e si innesca al tempo stesso un turbinio di situazioni e personaggi coinvolti nell’aiutare Bob e Willa a fuggire e nascondersi. Il sensei Sergio St. Carlos (Benicio del Toro), imperturbabile in situazioni deliranti, le suore messicane che coltivano marijuana e nascondono Willa, il sicario dei “Pionieri del Natale” che parte all’inseguimento di Lockjow per farlo fuori sono solo alcune delle figure che si muovono in un incastro serrato del gatto che dà la caccia al topo. Memorabile la lunga sequenza dell’inseguimento tra auto lungo una strada solitaria che sale e scende nel deserto californiano, metafora inquietante della cieca violenza, dell’intolleranza del più forte, in un luogo dove i conti si regolano nel silenzio. Girata magistralmente, la scena ha un che di epico, di classico: viene alla mente il Duel di Spielberg, ma più in generale l’inseguimento della tradizione cinematografica americana e probabilmente la sequenza resterà a lungo nell’immaginario cinefilo.

Una battaglia dopo l’altra termina con un finale in qualche modo tradizionale e “americano”: si salvano gli affetti (ma a che prezzo!) e i cattivi vengono eliminati, anche se sullo sfondo resta lo squallore di una umanità che non si comprende e che è sempre pronta a ripartire dallo scontro. La battaglia ricomincia e saranno le nuove generazioni a portarla avanti, mentre i vecchi militanti, fermi in un sogno utopistico che hanno visto infranto, proseguiranno la vita in un dolce torpore, nello stordimento delle canne.

Alla base del film c’è un romanzo di Thomas Pynchon, Vineland, ambientato nel 1984 ai tempi di Ronald Reagan; non è la prima volta che P.T. Anderson adatta Pynchon, lo aveva già fatto con Vizio di forma (2014), con risultati non proprio brillanti, vista la complessità della scrittura dell’autore americano, per alcuni impossibile da trasporre in pellicola. Con Una battaglia dopo l’altra Anderson ha scelto un parziale adattamento del romanzo, ambientando gli eventi ai giorni nostri, in epoca trumpiana (Trump però non viene mai menzionato), e realizzando un finale diverso.

Se il romanzo rifletteva sulla morte delle ideologie e dei movimenti d’opposizione negli anni Ottanta e sugli errori dell’amministrazione Reagan, il film di Anderson mostra una situazione simile nell’America di oggi, dove è ribadito il tramonto delle ideologie atte a destabilizzare il paese, ma anche l’ottusa stolidità di una destra estremista, incarnata nel ridicolo gruppo dei “Pionieri del Natale” e nel volto, in quella maschera, del tenente Lockjow, interpretato da Sean Penn. Un personaggio disgustoso, che Penn arricchisce di tic facciali, manie, eloquio e movimenti da automa, una vera e propria trasformazione fisica.

Leonardo Di Caprio, alla sua prima collaborazione col regista, ha ormai raggiunto una maturità artistica che lo rende credibile anche nei panni di padre apprensivo di un’adolescente, un personaggio non propriamente protagonista assoluto del film, ma parte di un puzzle di attori: il suo Bob, idealista simpatico e un po’ sgangherato, diventa una specie di Drugo Lebowski, steso sul divano di casa a guardare vecchi film e avvolto dal fumo delle canne, pronto a calarsi nuovamente nell’azione non più per attentati, ma per salvare la figlia.

Lungo ben 2 ore e 40 minuti, al film avrebbe forse giovato una sforbiciata in sede di montaggio, soprattutto nella seconda parte, quando ci sono alcune situazioni ai limiti del grottesco (ma non dimentichiamoci che alla base c’è Pynchon), che vanno un po’ a stridere con la perfezione narrativa e stilistica della prima. Non scalfisce però l’importanza di un’opera riuscita, che va annoverata tra le migliori di Anderson, dai primi grandi affreschi di varia umanità, Boogie Nights (1997) e Magnolia (1999), fino al potente Il petroliere (2007) e all’elegante-inquietante Il filo nascosto (2017).