Per altri occhi

Per altri occhi
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Una delle protagoniste del film

Regia: Silvio Soldini / Giorgio Garini
Anno: 2013

 

Silvio Soldini e Giorgio Garini di nuovo insieme per la regia di un toccante documentario sui non vedenti.
Il cinema di Soldini è da sempre un cinema dello sguardo.
Egli mira a guardare e farci guardare la realtà in modi nuovi, diversi, inusuali. Che tratti della ricerca di sé vista come una favola (Pane e tulipani, 1999) oppure mostri il nostro presente sotto lo sguardo amareggiato dei grandi del passato (Il comandante e la cicogna, 2013), l’intento del suo cinema è sempre quello di spingere lo spettatore a cambiare il proprio punto di vista per trovare una speranza che permetta di affrontare la vita con più ottimismo.

Nel documentario Per altri occhi questo sguardo positivo non è soltanto il fine ma anche l’oggetto stesso (duplice) del film, sia perché i protagonisti sono dei simpatici ed ottimisti non vedenti, sia perché Per altri occhi scopre insieme allo spettatore il loro mondo “sommerso”.

Come il titolo di una sua pellicola, anche Silvio Soldini è “Un’anima divisa in due”, tra la fiction e il documentario. Quest’anno, dopo il lungometraggio del 2012 Il comandante e la cicogna, il regista torna in sala con Per altri occhi, in cui riprende a lavorare con Giorgio Garini, suo fedele collaboratore dai tempi di Paesaggio con figure (1983).

L’uscita del film nelle sale è prevista per il prossimo giugno, ma in occasione della Festa del Cinema è stata organizzata all’Anteo Spazio Cinema un’anteprima che ha permesso al pubblico milanese di avere in sala alcuni interpreti e i registi, intervistati dal critico cinematografico Alberto Pezzotta.

Per altri occhi – opera che si situa maggiormente sul binario dell’emotività rispetto a quello della tecnica, puntando sul contenuto più che sulla forma – ha meritatamente ricevuto un’accoglienza molto calorosa: il documentario scorre fluido, alternando momenti divertenti ad altri di profonda ma mai pedante riflessione sociologica.

Il film è costruito come una progressiva scoperta che obbliga lo spettatore a confrontarsi con i propri preconcetti sui non vedenti. Non siamo più nell’epoca in cui si credeva che una persona non vedente fosse condannata all’immobilità o all’infelicità, ma forse non tutti siamo consapevoli del fatto che i non vedenti possono tranquillamente sciare, partecipare a regate o praticare il tiro con l’arco. E nonostante il documentario dedichi molto spazio a questo lato estremo della loro vita, non dimentica assolutamente la quotidianità, con i problemi ordinari della gestione dell’economia domestica (il funzionamento della caldaia o la scadenza degli alimenti) e dei rapporti con i vicini di casa.

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Un altro protagonista del film

Da questo approssimativo elenco di tematiche si potrebbe aver l’impressione che il film sia didascalico, ma la realtà è ben diversa: la struttura dell’opera è tale da creare un collegamento emotivo molto forte tra il mondo filmico e lo spettatore. L’anello di congiunzione tra questi due universi è rappresentato dagli autori, che si situano fuori e dentro il film; durante la visione ci conducono per mano nelle case di questi uomini e donne o sul loro posto di lavoro, quasi a volerci passare un testimone.

E’ infatti chiaro come alla base delle conversazioni che hanno luogo nel film vi sia un rapporto di grande fiducia che i due registi hanno saputo costruire nei mesi precedenti con i protagonisti. E allora, pian piano, essi ci fanno entrare in un vero e proprio mondo che è sempre sotto i nostri occhi – come afferma uno dei personaggi – ma che non ci siamo mai soffermati ad osservare davvero e soprattutto a capire.

Se dunque teoricamente noi siamo gli altri, gli intrusi, uno dei pregi del film è che non ci fa mai sentire come tali, perché quel rapporto di fiducia è ribadito costantemente. Enrico, Giovanni, Felice chiedono informazioni e spiegazioni ai registi, parlano direttamente con loro interpellandoli e infrangendo così uno dei codici classici del documentario, che impone all’autore di essere un agente esterno che mai interferisce con il mondo narrato.

Inoltre, con questo loro atteggiamento, i personaggi non si limitano ad essere oggetti da investigare ma ribadiscono il loro essere soggetti attivi, anche nella produzione di un film su di loro. Proprio questa forza, questa ricercata presenza (in senso etimologico) diventa uno degli elementi cardine del film: essa rivela la loro volontà di essere protagonisti della vita in ogni momento.

Molti dei personaggi non sono ciechi dalla nascita: essi hanno esperienza della vita attraverso il senso della vista. Ciò è importante per il film perché riveste quella forza di un significato ulteriore: il riaffermarsi nel mondo dopo una fase di isolamento e di depressione successiva alla perdita della vista.

Ma è anche importante perché da qui il documentario sviluppa la sua riflessione sull’importanza delle immagini nella nostra società.

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Il fotografo cieco Luca

Luca è cieco eppure realizza delle fotografie bellissime. Sembra un paradosso, ma nel film si trovano parecchie situazioni analoghe. La percezione del momento giusto in cui scattare una fotografia è per Luca puramente istintiva, basata su altri sensi rispetto alla vista, e una delle tesi dell’opera è proprio la possibilità di vivere e sentire un bel paesaggio anche senza l’uso degli occhi. L’importante per Luca è sapere quali emozioni prova chi vede la sua fotografia, se siano le stesse che gli hanno suggerito di scattare quella foto proprio lì, in quell’istante.

Viene allora spontaneo pensare a tutte le volte in cui guardiamo senza veramente vedere. L’inizio stesso del film ne è un esempio: non è intenzionalmente chiaro da subito che le persone mostrate sono non-vedenti. Nessuna voice-over ce lo spiega.

E’ così che Soldini e Garini sorprendono lo spettatore continuamente, fino a farlo immedesimare nei protagonisti attraverso soluzioni tecniche che cercano – seppur per pochi istanti – di riprodurre la loro percezione del mondo. Si tratta chiaramente di suggestioni, non della pretesa di farci provare qualcosa che non possiamo esperire.

Credo tuttavia che questo possa portare ad una maggiore consapevolezza e a farci davvero guardare il mondo con altri occhi.

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Alessandro Guatti
Laureato in "Storia e critica del cinema" al DAMS di Bologna e specializzatosi nella stessa Università in "Cinema, televisione e produzione multimediale", delinea la sua attività professionale nell'ambito del videomaking e della critica cinematografica. In qualità di critico cinematografico, dopo aver scritto per "Il Melegnanese" e "Microonde", è ora redattore e supervisore di Cinemacritico.it, prosegue con la rubrica di videorecensioni "Scelto per voi" da lui ideata per la webtv di Melegnano (www.melegnano.tv) e pubblica articoli e recensioni di film, serie tv, libri e spettacoli teatrali sul suo blog (www.myplaceintheweb.wordpress.com). Come regista ha realizzato il video con Valentina Cortese "Magnificat", uno spettacolo di poesia e musica su testi di Alda Merini. Oltre a realizzare riprese e montaggi di video di varia natura, si sta specializzando in prodotti fortemente legati all'ambito musicale: un documentario sul Primo Corso Internazionale di Musica Antica tenuto a Tel Aviv nel 2010, alcuni videoclip (è il regista ufficiale dei video dell’ensemble Polypop e ha collaborato con il James Thompson Project), promo e video di spettacoli e concerti. Diversi suoi lavori sono visibili sul suo canale youtube, "Alessandro Guatti” e sull'omonimo canale Vimeo.