Two Mothers – Adore

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Regia: Anne Fontaine
Anno: 2013

“Bisogna vedere in azione davanti ai propri occhi queste sostanze all’apparenza inerti, e tuttavia intimamente sempre disposte, ed osservare con partecipazione il loro cercarsi, attirarsi, assorbirsi, distruggersi, divorarsi, consumarsi, e poi il loro riemergere dalla più intima congiunzione in forma mutata, nuova, inattesa: allora sì che si deve attribuire loro un vivere eterno, anzi, addirittura intelletto e ragione, dal momento che i nostri sensi appaiono appena sufficienti ad osservarli e la nostra ragione a stento capace di interpretarli.” Le affinità elettive –  J.W. Goethe

Roz (Robin Wright) e Lil (Naomi Watts) sono amiche per la pelle fin dalla primissima età. Vivono felicemente in un paradiso australiano, fatto di spiagge incontaminate, mare cristallino e cielo perennemente terso. Cresciute, le due si sposano, ma Lil perde il compagno in un incidente stradale, mentre Roz è spesso sola a causa dei viaggi di lavoro del marito. La loro solida amicizia viene così ulteriormente rinsaldata da questi abbandoni. Nella coppia perfetta si inseriscono naturalmente i due figli, Ian (Xavier Samuel) e Tom (James Frecheville), che, quasi come fossero lo specchio delle madri, instaurano tra loro un legame profondo. Il quartetto diventa un microcosmo perfettamente funzionante e isolato dal resto del mondo: il tempo sembra non passare mai, e i due ragazzi, ormai adulti, vivono in perfetta armonia con le due donne. L’equilibrio cambia assetto quando Ian, figlio di Lil, si innamora di Roz; Tom scopre per caso la relazione tra l’amico e la madre e per rivalsa decide di sedurre Lil. Lo scambio di coppia sembra funzionare finché la differenza d’età fa emergere problemi e contraddizioni.

Anne Fontaine, che evidentemente ama molto raccontare le storie di rapporti non convenzionali (uno dei suoi primi film fu Dry Cleaning – Nettoyage à sec, 1997, storia di due coniugi annoiati la cui vita matrimoniale viene sconvolta dall’incontro con un travestito), spreme ulteriormente la tematica ormai logora delle relazioni tra donne in età e toy boys. Lo fa avvalendosi di quattro attori, sicuramente dotati di talento, ma soprattutto di bellezza: i due ragazzi Xavier Samuel e James Frecheville sono alle prime esperienze cinematografiche, (anche se il primo è già conosciuto grazie a Twilight in cui ha rivestito i panni del bel vampiro Riley Biers), mentre le due splendide – quasi cinquantenni – Robin Wright (consacrata alle scene con Forrest Gump di R. Zemeckis, 1994) e Naomi Watts (attualmente nelle sale con Diana – La storia segreta di Lady D, di Oliver Hirschbiegel)  conservano l’avvenenza di sempre nonostante la corposa filmografia alle spalle.

La Fontaine non si assume rischi e per parlare di un tabù potenzialmente scomodo, schiera in scena due coppie di bellissimi, cercando evidentemente il consenso di pubblico maschile e femminile. E come direbbe un famoso spot pubblicitario: “Ti piace vincere facile!”.

Two mothers avrebbe dovuto portare in luce la complessità dei rapporti tra generazioni diverse, la morbosità dei legami, la difficoltà delle separazioni, le incoerenze morali. E invece anche nell’errore tutto appare perfetto: le due donne, non più giovani, rimangono due fotomodelle, i ragazzi sembrano divinità greche, le rotture sono sempre ordinate, i pianti molto composi, i dialoghi senza sbavature (cosa più che improbabile nelle conversazioni tra una ultra-quarantenne e un ventenne), gli incontri fisici puliti e manierati. Insomma, tutto sa di troppo bello e patinato per essere vero.

Quello che nella vita reale, con tutta probabilità, sarebbe stato un gioco di breve durata, fatto di inganni, incomprensioni, ambiguità, rotture drammatiche e gabbie mentali, nella finzione della Fontaine diventa una storia d’amore a duplice prospettiva, abbastanza superficiale sui risvolti psicologici e sulle ripercussioni sociali che una situazione simile avrebbe potuto creare. Addirittura le due signore, invece di darsele di santa ragione per aver corrotto l’una il bambino dell’altra (come naturalmente – e anche in maniera un po’ ipocrita, forse – sarebbe dovuto succedere), si scambiano timide confidenze e timori sulla possibilità che i ragazzi possano un giorno stancarsi di loro…

Peccato che la Fontaine non abbia spinto l’acceleratore più a fondo, perché un abbozzo di studio introspettivo si scorge tra la leziosità dei personaggi e lo sfondo di una simil-laguna blu: le coppie madre-figlio si sfaldano andando a formare due nuovi duetti, anch’essi formati da una madre e un figlio, non più connessi da legami di sangue però, e con la possibilità di essere finalmente amanti. Che questo nuovo assetto volesse dar a intendere che ci fosse un desiderio incestuoso tra le genitrici e la rispettiva prole? Oppure il nuovo ménage rappresenta al contrario un tentativo di scegliersi, un figlio da una parte e una madre dall’altra, che fosse più congeniale alla propria natura? E la coppia di vecchie amiche, così come la coppia di giovani amici, va alla deriva, ricucendosi in un nuovo abbinamento amoroso, che, chissà, forse è l’estensione di quello precedente: non a caso più volte nel film aleggia il sospetto, seppur sempre toccato con levità, di un rapporto omosessuale tra le due madri.

Insomma, a voler osare un po’ di più, la carne al fuoco sarebbe stata tanta, mentre qui i caratteri rimangono imprigionati nello sfavillio del jet set hollywoodiano, o per meglio dire, australiano.

Forse nel testo originario (infatti il film prende le mosse dal romanzo di Doris Lessing, The Grandmothers) i personaggi hanno avuto il coraggio di sporcarsi le mani, di affondare i piedi in quelle sabbie mobili che sono gli impulsi sessuali, forse la vera natura della lotta tra istinto e ragione ha trovato la luce. Chissà.

Ma qui c’è troppa misura in una situazione nata dalla mancanza di equilibrio e troppo senno dove è così evidente l’incoscienza.

Il trionfo dell’estetica.

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