Regia: Fernando Meirelles
Anno: 2011
Sapete cosa si intende per l’espressione sei gradi di separazione? Oltre all’omonima commedia teatrale di John Guare e al film di Fred Schepisi del 1993, la teoria dei sei gradi di separazione nasce nel secolo scorso per dimostrare in termini scientifici quanto effettivamente il nostro mondo sia piccolo. Infatti, secondo una formula ben precisa, ogni componente della terra sarebbe connesso ad una qualunque altra persona, attraverso un massimo di cinque intermediari. La teoria, nonostante il circo mediatico l’abbia trasformata in una leggenda metropolitana da bar, sembrerebbe essere stata comprovata empiricamente… quindi ci sono buone probabilità che la cassiera del supermercato da cui vi rifornite, abbia in passato fatto un viaggio negli Stati Uniti, durante il quale ha conosciuto un autista di taxi messicano, il quale da piccolo giocava in cortile con il figlio di un croupier di Las Vegas che una volta diede la carta vincente a poker al papà di Brad Pitt.
Questa tematica, oltre ad alimentare i sogni più sfrenati delle adolescenti di tutto il mondo, offre sempre terreno fertile per molti cineasti che giocano sulla circolarità dei rapporti umani: 360 (il titolo originale è molto più intelligente della stucchevole traduzione italiana Passioni e Desideri) descrive perfettamente la ripetitività ad ampio raggio di personaggi e circostanze che, facendo il giro della terra, si intrecciano e si autoalimentano, per poi collassare laddove sono iniziati.
Il film, tratto liberamente dall’opera teatrale Girotondo di Arthur Schnitzler (il suo Doppio Sogno ispirò l’ultima fatica di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut, 1999), narra le vicende di una dozzina di personaggi, suddivisi per coppie che in maniera diversa e singolare portano in scena una più universale difficoltà relazionale. Ogni componente di ciascuna coppia è collegato al binomio successivo, per effettiva parentela o per incontri casuali, e tutte le vicende si attraversano rivelando l’essenza delle dinamiche sentimentali, caratterizzate spesso da una sostanziale incomprensione tra le parti.
La prostituta, l’uomo d’affari, il fotografo, il padre di famiglia, l’autista, il mafioso, sono accomunati da uno stesso destino, tutti subiscono la forza dell’amore e dell’attrazione e tutti loro sono posti davanti ad un bivio, la scelta tra razionalità e istinto, tra amore e passione, tra fedeltà e tradimento, tra rimpianto e rimorso.
Anche Fernando Meirelles (regista balzato alla ribalta per la nomination all’Oscar nel 2004 con City of God e per Blindness, Cecità, 2008, tratto dall’omonimo romanzo del premio Nobel Josè Saramago), come Schnitzler, immagina un girotondo di affetti all’interno di un assetto che all’apparenza può sembrare perfetto e consequenziale, ma che è facilissimo corrompere.
Meireilles tenta un esperimento ambizioso e non troppo convincente: nonostante il cast di tutto riguardo che vanta nomi come Jude Law (protagonista di Anna Karenina di Joe Wright, 2012 e di Effetti collaterali, Side Effects di Steven Soderbergh, 2013), Rachel Weisz (Il grande e potente Oz, Oz: The Great and Powerful, regia di Sam Raimi, 2013) e Anthony Hopkins (pluripremiato attore di stampo classico, vinse l’Oscar ne Il silenzio degli innocenti, The Silence of the Lambs, di Jonathan Demme, 1991), la trama tende a sfilacciarsi tra i troppi personaggi e le innumerevoli storie.
Sarebbe bastato, forse, concentrarsi su un gruppo ristretto di casi umani per sviscerare meglio e più incisivamente il tema dei rapporti e delle conseguenze dell’amore. A metà tra Closer (Mike Nichols, 2004), per le tematiche affrontate, e Babel (Alejandro González Iñárritu, 2006) o Crash, Contatto fisico (Paul Haggis, 2004) per la struttura, Passioni e desideri non risulta abbastanza innovativo ed efficace per essere un’opera indimenticabile come questi tre capolavori.
Si apprezza, se non l’originalità del prodotto, sicuramente la cura del particolare, come l’ossessiva (e un po’ troppo didascalica) presenza nelle inquadrature della fede nuziale, metaforicamente riconducibile all’idea del girotondo ed emblema per eccellenza di amore e fedeltà. Questo simbolo universale emerge a fronte di una sostanziale incoerenza tra il suo significato e il comportamento dei personaggi che lo indossano: tutti hanno una vera al dito, chi a seguito di un fidanzamento, chi per un matrimonio, e tutti, ma proprio tutti, rompono questa perfezione, introducendo degli spigoli nella circolarità. Tradiscono, desiderano, scappano, mentono, rubano e uccidono.
Alla fine c’è chi si redime e torna nel ring, chi impara a parlare e a capire, e c’è anche chi prende la strada sbagliata. Ma come dice la voce fuori campo all’inizio del film, “quando arrivi davanti a un bivio, imboccalo”, e sembra che non sia fondamentale sapere quale parte del bivio si debba preferire, forse perché il caso gioca un ruolo determinante più della libera scelta umana, o forse perché l’importante è prendere una decisione sempre, giusta o sbagliata che sia.