Mulholland Drive

Regia: David Lynch
Anno:
2001

Rossi i tendaggi e i divani; rosse le labbra e le unghie; rossi gli abiti e ovviamente il sangue. E rosso è passione, ma anche pericolo; rosso come la rabbia scatenata nei tori, rosso come la sicurezza e la determinazione; come le vene e le paure. Si contano sulle dita di una mano le scene del film di Lynch in cui non appare un dettaglio rosso.

È il colore del rossetto della donna che sta per essere uccisa da un uomo in una limousine. Un incidente la salva e lei, sotto shock, discende la collina di Los Angeles. Dopo aver girovagato senza meta si stende in un cortile e si addormenta. Rossi sono i capelli della proprietaria di casa, che parte, lasciando momentaneamente vuoto l’appartamento, dove la sopravvissuta si intrufola. Ma, di lì a poco, arriva Betty Elms (Naomi Watts), nipote della padrona e aspirante attrice, che crede Rita (Laura Harring) un’amica di sua zia. Ben presto, però, diviene chiaro che le cose sono diverse. Rita soffre di un’amnesia e, con l’aiuto di Betty, comincia a cercare di ricostruire i fatti accaduti. Le prime cose che ricorda sono il nome della strada –Mulholland Drive, appunto- che stava percorrendo la sera prima e il nome Diane Selwyn. Dopo alcune ricerche ottiene un indirizzo. L’indomani Betty si reca ad un provino, ma il regista Adam Kesher (Justin Theroux) obbedisce alle direttive impartitegli da due fratelli malavitosi e dal “cowboy” (Monty Montgomery) e scrittura la sconosciuta Camilla Rhodes come protagonista del suo film. Betty abbandona il set e insieme a Rita si reca all’indirizzo procuratosi: nella camera da letto scoprono il corpo in putrefazione di una donna. Una volta tornate a casa, Rita decide di cambiare il suo aspetto per non farsi riconoscere, mettendosi una parrucca di capelli biondi e corti (in buona sostanza, come quelli di Betty!). Durante la notte Rita ripete “Silencio, no hay banda”. La medesima battuta viene reiterata più volte a teatro, dietro lo sfondo di tende ovviamente rosse, durante una performance basata sulla difficoltà di distinguere la realtà dalla finzione. È in questo momento che la vicenda comincia a dipanarsi e via via si comprende che tutto è un sogno, che i fallimenti e l’infelicità possono far perdere la ragione e indurre a scelte tremende, il cui peso è insostenibile tanto da spingere al suicidio.

Ma gli elementi rossi non sono finiti. In Mulholland Drive c’è una stanza, che inevitabilmente richiama alla mente quella famosissima de I segreti di Twin Peaks (“Twin Peaks”, David Lynch 1990). Nel serial-tv, che ruota intorno all’uccisione di Laura Palmer, il regista mette già in scena una delle tematiche a lui più care: l’ipocrisia della società americana, fatta di perfezione, felicità e sorrisi radiosi (anche nella prima parte di Mulholland Drive Betty non fa che sorridere continuamente, in maniera quasi grottesca, così come la coppia di anziani che incontra appena giunta all’appartamento di sua zia) che cela in realtà la prepotenza di perversioni e istinti repressi.

In Twin Peaks la “Stanza Rossa” rappresenta il luogo in cui si combattono il bene e il male, ciò che è morale e ciò che è perverso separati appena dall’impalpabilità ed evanescenza di una tenda. Quella di Mulholland Drive è in qualche modo una stanza segreta del potere, la stanza dove le decisioni vengono prese e imposte. E come spesso è stato fatto, si potrebbe pensare, sotto la lente di una lettura psicanalitica, che si tratti della rappresentazione del Super Io. Il compito di questo è di impedire che elementi inconsci e disturbanti possano divenire coscienti. Tuttavia accade che nel sogno le censure del Super Io si riducano e il rimosso possa accedere alla memoria, anche se mascherato.

In quest’ottica, la pellicola va idealmente divisa in due parti: nella prima il Super Io di Diane Selwyn la trasforma in Betty Elms, per cancellare le delusioni passate e fingere che le sue ambizioni si siano realizzate; la seconda, invece, coincide con la reale vita di Diane, comprese le vicende (rese visibili da Lynch attraverso flashback e visioni allucinatorie e allucinate) che hanno portato alla frustrazione delle sue speranze e all’assassinio di Camilla, e che la inducono infine al suicidio. Ma si potrebbe pure azzardare e spingersi oltre, affermando che la stessa Camilla in realtà non esista, essendo la personificazione di quel successo che Diane non ha mai avuto (in buona sostanza, di una delle sue istanze interne); e forse, persino l’omicidio e il suicidio in realtà sono solo metafora di morti interiori e psicologiche, non necessariamente consumate da un punto di vista concreto. Perché la mente è un luogo favoloso” come asserisce lo stesso regista “cosa vi accade dentro nessuno lo sa”.

Rosso il filo che lega le tematiche care a Lynch: oltre la dimensione onirica, in Mullholand Drive ritornano tutte le altre visioni, ossessioni, immagini ricorrenti delle sue pellicole (non solo il già citato Twin Peaks, ma anche Eraserhead del 1977, The Elephant Man del 1980, Blue Velvet del 1986, Wild at heart del 1990, etc.). Tra queste le luci intermittenti (che simboleggiano l’alternarsi e il mescolarsi di luce e buio anche nel medesimo personaggio); la deformità fisica (metafora di quella interiore); il tema del doppio (in Twin Peaks lo spirito demoniaco di Bob si impossessa prima del padre di Laura Palmer e poi dell’agente Cooper; in Mullholand Drive la doppiezza è evidente fin dalle prime scene dove, a ben guardare, ci si accorge che le coppie impegnate in un ballo in stile Jitterbug non sono quattro, ma due continuamente replicate, fino ad arrivare ad uno sdoppiamento totale, in cui Betty è Diane, Rita è Camilla, e quella che precedentemente si credeva Camilla appare alla fine per baciare la vera Camilla); e infine, su tutte, il concetto di normalità (intesa anche e soprattutto come vacua rappresentazione esteriore) che il regista demolisce sistematicamente.

Dunque, la comprensione di una pellicola come Mulholland Drive -con la grande suggestione delle immagini, il sonoro e le musiche che svolgono un ruolo importante nella narrazione, le ombre pressoché perenni nelle quali coni di luce tagliano il buio e rischiarono volti e cose- va ben al di là di una ricostruzione temporale degli avvenimenti. È il tentativo di trovare un sentiero, una strada, in una sorta di labirinto. E probabilmente non si arriverà mai a imboccare la direzione giusta, forse inesistente.