Lincoln

Regia : Steven Spielberg
Anno : 2013

Cose uguali ad una stessa cosa sono uguali tra loro: un’evidenza “matematica” che Lincoln riprende da Euclide, adattandola però al concetto di eguaglianza tra tutti gli uomini.

Il presidente più amato degli Stati Uniti, un uomo spinto da un elevatissimo ideale morale e da uno straordinario sogno di giustizia sociale,  un pensatore -un visionario forse- pronto a qualsiasi cosa pur di concretizzare la sua utopia, raccontato in una pellicola complessa, a volte ostica, della durata di 150 minuti.

Il film-documentario diretto da Steven Spielberg (regista, tanto per restare in tema di pellicole storiche, anche del pluripremiato Schindler’s List del 1993 sull’olocausto degli ebrei) prende le mosse dal IV anno della guerra civile americana, per raccontare i retroscena -nemmeno tanto nascosti- della disputa politica che precede l’approvazione del XIII emendamento sull’abolizione della schiavitù. Quindi battaglie tra repubblicani e democratici, tra schiavisti ed abolizionisti, sotterfugi, corruzioni, tradimenti di ideali.

Il film certamente è l’elogio di una figura storica carismatica, capace di cambiare i destini dell’intero genere umano, ma anche di una nazione che ancora esalta sé stessa come unica (o quanto meno, originale) culla della libertà e dell’eguaglianza. Tuttavia il regista non si esime dal descrivere anche la corruzione, i sotterfugi e i compromessi ai quali è necessario sottostare, pur di arrivare ad un fine supremo. Lo stesso Lincoln (Daniel Day-Lewis) decide di far slittare i trattati di pace, che avrebbero posto fine ad una guerra sanguinosa, pur di far sotto scrivere l’emendamento (e ne spiega i motivi, con una logica impeccabile da straordinario uomo di legge che è, attraverso un bellissimo dialogo -un monologo, in pratica- in cui spiega che anche la guerra è uno strumento necessario per raggiungere la liberazione degli schiavi negri). Insomma, risveglia un dubbio morale circa l’affermazione di machiavelliana memoria secondo cui il fine giustifica i mezzi!

Sin qui, uno dei meriti della pellicola, rigorosa e posata pur trattando di un tema spinoso come quello della sottomissione di una razza all’altra. Ma molti altri sono i pregi del film. Innanzitutto il cast: non solo Daniel Day-Lewis, bravissimo nel dar vita ad un personaggio sempre assorto dai suoi pensieri ed enigmatico fino allo stremo della freddezza e di una razionalità forse eccessiva; Sally Field, moglie del presidente, che gli fa esattamente da contrappunto con la sua passionalità ardente e l’irrazionalità (che a tratti diventa follia dolorosa per aver perso un figlio e nel timore di perderne un altro a causa della guerra); Tommy Lee Jones nei panni di Thaddeus Stevens, anche lui speculare alla figura di Lincoln, perché incarna lo stesso ideale di giustizia umana, ma riscaldata da un impeto passionario che pare mancare al razionalissimo presidente. Quindi, se analizzati singolarmente, i personaggi paiono sbilanciati in un senso o in quello opposto, nell’economia generale creano invece un buon equilibrio.

Altri aspetti di pregio del film sono rappresentati dalla fotografia (affidata a Janusz Kaminski, che dopo Schindler’s List, Jurassic Park e Munich, giusto per citarne alcuni, prosegue il suo sodalizio col regista), impeccabile soprattutto nelle scene in notturna, girate alla luce di lampade d’epoca, che contribuiscono a dare al film un bellissimo stile pittorico, e le musiche (realizzate da John Williams che quest’anno cerca di aggiudicarsi l’Oscar per la migliore colonna sonora, dopo averlo mancato per un soffio lo scorso anno, nonostante la doppia nomination de Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno e War Horse, due film manco a dirlo di Steven Spielberg) sicuramente d’impatto e che accompagnano efficacemente le scene più emozionanti.

Tuttavia, nonostante la scelta di concentrare l’azione in un pugno di mesi, le dispute parlamentari, gli interminabili approfondimenti sui dettagli del trattato e i discorsi-fiume del presidente appesantiscono la prima parte del film oltre misura. E contribuiscono ad allentare troppo un pathos che, invece, proprio perché gli avvenimenti si svolgono in concomitanza con una tragedia come la guerra, avrebbe dovuto essere più spiccato.

Altra nota dolente il doppiaggio: all’inizio l’orecchio fa fatica, quasi pare che si ascolti la caricatura di una voce, poi ci si abitua. Il problema, ovviamente, non si presenta con la pellicola in lingua originale.

Eppure, a voler guardare oltre, nel tentativo di interpretare le scelte stilistiche e contenutistiche del regista, ci si potrebbe soffermare su un personaggio che a primo acchito potrebbe apparire minore, e che forse non lo è. Storicamente Lincoln ebbe 4 figli. Nel film appaiono Robert (Joseph Gordon-Levitt), il maggiore; William, più volte citato dalla coppia presidenziale e la cui morte rappresenta il nodo doloroso ; Tad (Gulliver McGrath), il minore.
Non si menziona mai Edward, morto all’età di 5 anni.

È sulla figura di Tad che forse si potrebbe allungare lo sguardo. Il bambino è sempre presente, anche in situazioni che appaiono forse inopportune (il padre allontana il figlio maggiore, appena tornato, nel momento in cui sta discutendo privatamente di affari politici, ma non fa lo stesso col bambino quando questi, sempre in uniforme, si trova nelle medesime circostanze). In una scena il presidente trova il figlioletto addormentato di fronte al camino (tra le mani le immancabili fotografie di alcuni bimbi-schiavi) e si stende accanto a lui (i due sono speculari, quasi immagini allo specchio, e vestiti allo stesso modo). In un’altra (la mattina dell’approvazione dell’emendamento) Lincoln è alla finestra, se ne vede l’ombra, il figlioletto lo segue, si abbracciano, e ad un soffio di vento che agita la tenda pare che le due sagome diventino una.

Che Spielberg abbia voluto attribuire a Tad un significato che va oltre quello di semplice personaggio storico? Possibile. Che rappresenti un alter-ego fanciullo del presidente? Possibile. Che questo dia quella connotazione sentimentale, ideale, genuinamente emotiva ad un personaggio che, in assenza, risulterebbe un po’ scostante e disumanizzato? Possibile anche questo.

Resta il fatto che Lincoln è un gran bel film, non esente da lati oscuri, su un personaggio storico assai luminoso, ma non per questo privo di ombre.

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