Le regole del caos

_ND46660.NEFRegia: Alan Rickman
Anno: 2014

Nella Francia di fine Seicento alla corte del Re Sole una donna volitiva e anticonformista getta un po’ di caos nelle rigide e vacue regole della nobiltà e nel cuore di uomo.

Sabine de Barra (Kate Winslet) è una paesaggista che realizza sofisticati giardini per i nobili del tempo. Un giorno viene scelta tra tanti da Andrè Le Notre (Matthias Schoenaerts), noto e stimato artista ufficiale di Luigi XIV (Alan Rickman), per realizzare i giardini della reggia di Versailles, dove la corte sta per trasferirsi. Ciò che vuole creare è esattamente l’opposto di quel che ha in mente Le Notre, un elegante giardino che rispecchi i canoni del razionalismo dominante nella cultura francese del tempo. Sembrerebbe impossibile realizzare il progetto di Sabine, incompatibile tanto con i gusti di corte quanto con le rigide vedute di Le Notre, eppure qualcosa attrae l’artista giardiniere. E non ha solo a che vedere col progetto anticonformista di Sabine, ma anche con la sua personalità risoluta e carismatica.

I due cominciano così a confrontarsi prima sul piano professionale e poi, poco per volta, su quello personale, facendo emergere con delicatezza la solitudine di entrambi che nasconde un doloroso passato per lei ed un amaro presente per lui. Ci vorrà un tragico incidente per avvicinare definitivamente queste due esistenze e legarle nell’amore.

Sullo sfondo c’è la corte, la nobiltà con le sue ipocrisie, i suoi vani rituali, le rivalità e le malelingue. Gli atteggiamenti falsi imposti da un ruolo le regole del caose da un titolo. Lo stesso Luigi XIV è solo un figurino imbellettato e una sontuosa parrucca, sotto cui si nasconde un uomo che deve obbedire a un’etichetta sociale e a determinati codici di comportamento. Ma forse Sabine riuscirà a smuovere qualcosa anche in lui con la nobiltà del suo animo che non ha nulla a che vedere con la ridicola nobiltà di corte.

Alan Rickman aveva già dato prova come regista alcuni anni fa con L’ospite d’inverno (The winter guest, 1997) a fianco di Emma Thompson, sua partner in Ragione e sentimento (Sense and sensibility, 1995). Per questa sua seconda regia sceglie come protagonista un’altra attrice con cui aveva recitato in quel film, Kate Winslet, e forse non a caso. Anche qui, in qualche modo, emergono i conflitti tra la ragione e il cuore: Sabine de Barra è quasi un’antesignana del Romanticismo, come le eroine di Jane Austen, che si scontra con i rigidi schemi del razionalismo e oppone la libertà del suo spirito a qualsiasi tipo di costrizione sociale.

L’impianto del film è teatrale, l’azione si riduce all’essenziale e i dialoghi sono i veri protagonisti della pellicola, con tutti gli scambi di sguardi fra i protagonisti che valgono tanto quanto le parole. Il cast, peraltro, quasi tutto british e dalla recitazione impeccabile rende inevitabilmente teatrale una Versailles ricostruita in Inghilterra e uno spaccato d’epoca e di cultura in realtà francese.

Kate Winslet (Little children, The reader – A voce alta, Carnage), forse la miglior attrice della sua generazione, è un palpitare di sensazioni trattenute e di sguardi intensi; il film si regge sulle sue spalle. Più a disagio in costumi d’epoca sembra invece Matthias Schoenearts (Un profumo di ruggine e ossa, Chi è senza colpa, Suite francese), che recita senza molta convinzione ed è quasi fuori parte. C’è anche in un piccolo ruolo Stanley Tucci (Il diavolo veste Prada, Burlesque) che fa la solita caricatura gay, a cui ormai pare avvezzo, nei panni del duca d’Orleans, fratello del re, e apre siparietti comici destreggiandosi tra la moglie e il di lui amante snob.

Il titolo italiano, dal sapore ossimorico, non rende giustizia a quello originale, A little chaos, che meglio lascia intendere quel po’ di caos gettato da uno spirito indipendente e passionale in un mondo-teatrino, dove tutto veniva spettacolarizzato e dove il ruolo sociale della donna era assolutamente marginale, se non inesistente, rispetto a quello dell’uomo.

Il film scorre piacevole, non annoia, ma allo stesso tempo pare non accendersi mai e non avere quel guizzo di originalità che lo rende memorabile per sceneggiatura o per qualche scena particolare. Vien quasi da dire che sembra un bell’esercizio di stile, ben recitato, con bei costumi, ma un po’ fine a se stesso e dove la mano del regista scrive in bella grafia, ma senza grande personalità.