Regia: Allen Hughes
Anno: 2013
New York è una città complicata, difficile comprenderla, impossibile e pericoloso tentare di assoggettarla. La si può solo amare e odiare allo stesso tempo. “C’è solo una cosa più bella che lasciare questa città, ed è tornarci”.
Con queste parole, Paul Andrews (Kyle Chandler), responsabile della campagna elettorale del nuovo candidato sindaco, esprime il suo sentimento per New York a Billy Taggart (Mark Wahlberg), finto operatore ecologico con cui scambia alcune parole. In realtà Taggart, il protagonista, è un investigatore privato assoldato dal sindaco in carica Hostetler (Russell Crow) per indagare su sua moglie Cathleen (Catherine Zeta-Jones) di cui teme il tradimento.
Taggart scopre che Andrews è l’uomo con cui si vede di nascosto la moglie del sindaco.
Alcuni giorni dopo che Taggart ha mostrato le foto compromettenti dei due al sindaco, Andrews viene trovato morto.
Indagando di sua iniziativa allora, Taggart scopre che Andrews non era l’amante di Cathleen e che tra i due c’era un rapporto di scambio di informazioni ai danni del sindaco, circa alcuni progetti di speculazione edilizia, nella zona Bolton Village, che il sindaco sta portando avanti con corruzione e irregolarità che, se mostrate all’opinione pubblica, potrebbero cambiare le sorti della campagna elettorale in cui Hostetler deve difendere la sua poltrona dall’assalto del giovane candidato Jack Valliant (Barry Pepper).
Dunque Taggart sospetta il sindaco dell’omicidio e comincia a capire che dietro di esso c’è molto più del tradimento coniugale.
Preso dal rimorso di coscienza per aver fornito nome e volto di Andrews al sindaco senza scrupoli (che già sospettava sua moglie di sabotaggio), il detective Taggart decide di affrontare Hostetler. Indaga dunque sul progetto Bolton Village, e con le carte segrete che reperisce lo ricatta, credendo così di impedire a un uomo tanto malvagio di restare in carica.
Ma Hostetler conosce il passato oscuro del detective e lo ricatta sua volta con un video compromettente.
Entrambi dunque si tengono in pugno a vicenda come in uno stallo alla messicana le cui armi, invece che pistole, sono documenti compromettenti. Il primo dei due che andasse alla stampa, susciterebbe l’immediata rappresaglia dell’altro che farebbe lo stesso. I rischi per entrambi sono moltissimi anni di galera, una grande infamia e la fine di ogni possibilità di carriera.
Nell’ultima notte uno dei due deciderà se premere il grilletto o fare marcia indietro.
Oltre a questi, il film presenta molti altri riferimenti al canone del film western. Sintetizzando la trama infatti, la si può descrivere come la storia del cupo pistolero che con grande determinazione e senso della giustizia riesce a far vacillare il ricco e spietato sindaco del villaggio.
Eppure tutto questo non è che il filone principale degli eventi, infatti tante trame secondarie, fatte di vita privata, belle donne e storie passate si alternano durante il film, e questo è forse più tipico del noir. Esse sono fondamentali, non solo perché intrecciate con la trama principale, ma anche perché gli stati d’animo che generano nei personaggi risultano poi determinanti per le decisioni più cruciali che essi prendono durante la storia.
In un groviglio di grattacieli, feste chic, dibattiti politici e persone comuni che cercano solo di tirare avanti, è dunque l’infida finanza immobiliare il dio oscuro della città. Essa si insinua prepotente nelle carriere e nelle vite private degli audaci ambiziosi che cercano di domarla: politici, speculatori immobiliari, uomini senza scrupoli. Il risultato sembra caotico eppure è perfettamente razionale, come lo sono i numeri e le cifre dei sondaggi elettorali e dei prezzi delle case.
Una fitta serie di concatenazioni causali, mille fili e leve che tirate in un certo momento producono effetti a catena, mostrano come si muove realmente il gigante New York.
Così, grazie a una momentanea frattura del guscio esterno, vengono mostrati allo spettatore gli ingranaggi oscuri della Grande Mela.
Questo è forse ciò che vogliono comunicarci Brian Tucker (lo sceneggiatore) e Allen Hughes (il regista, direttore di altri due film dal sapore noir-complottistico: La vera storia di Jack lo squartatore (From Hell, 2001) e Codice: Genesi (The Book of Eli, 2010), in questo film molto lungo e arduo da seguire attentamente in ogni suo sviluppo.
Bisogna infatti concentrarsi per comprendere a pieno la trama intricata in cui si muovono i tantissimi personaggi, tutti importanti, e i loro interessi. Solo così è possibile godere della suspance spionistico-complottista della pellicola: è nella trama infatti che risiede gran parte dell’atmosfera del film, più che nelle musiche, nell’azione o nell’aria noir (che pure calza a pennello su New York). Perdere un passaggio cruciale o il nome di un personaggio rischia di far annoiare e di non far trovare il trasporto necessario a seguire gli eventi che si sviluppano per tutti i centodue minuti di durata, ininterrottamente.
Non basta infatti seguire bene l’inizio per comprendere la trama, i molti indizi forniti nel primo tempo non sono così ovvi come si crede, rimane, quasi fino alla fine, sempre qualche pezzo mancante del puzzle. Le frasi sibilline che si crede di aver compreso, hanno sempre un non detto che emerge e si chiarisce solo molto tempo dopo.
“È mai possibile che nessuno in questa città sia capace di dire una frase fino alla fine?”
Questa è forse la domanda che meglio rappresenta il film. Il bello è che il detective
Taggart la dice solo nel secondo tempo, e da lì in poi c’è ancora moltissimo da svelare.
Da vedere, a patto che si riesca a rimanere concentrati durante tutto il film.
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