Regia: Martin Mc Donagh
Anno: 2012
7 Psicopatici potrebbe essere un film. 7 Psicopatici è una sceneggiatura che non vuole nascere. 7 Psicopatici, che poi sarebbero sei, sono sette individui (o forse più) sull’orlo del baratro in una Los Angeles lontana anni luce dall’essere la mecca del cinema e un posto dove vivere sereni. Soprattutto se si ha un cane!
Bisogna prestare molta, molta attenzione a questo gioiellino che ci regala il regista di In Bruges – La Coscienza dell’Assassino (2008), tornato nelle sale a distanza di quattro anni da quando mandò un affranto Colin Farrell (London Boulevard, William Monahan, 2010) – killer tutt’altro che infallibile – nella cittadina medievale belga per far calmare le acque dopo che questi uccise per errore un ragazzo.
7 Psicopatici (“7 Psychopaths”) racconta una storia. E questa storia è talmente articolata, violenta e pulp che bisognerebbe vedere il film almeno due volte per comprenderla davvero. È una storia di scrittori alle prese con una sceneggiatura che non vuole saperne di venire alla luce. È una storia di improbabili ladri di cani e attori falliti ed è una storia di criminali infuriati perchè gli attori falliti e ladri di cani hanno rubato la shi-tzu sbagliata alla persona sbagliata. È, infine, una storia nella storia.
Ora, si potrebbe pensare che la trama strizzi un occhio a Guy Ritchie il quale con intrecci, trame articolate, cani e personaggi al limite del reale ha fatto la sua fortuna (The Snatch – Lo Strappo, 2000). Ad una prima occhiata però. Sì, perchè 7 Psicopatici strizza l’occhio un po’ a tutti i registi e scrittori che col genere hanno avuto a che fare. Ammicca al Tarantino di Pulp Fiction (1994), sorride ai Cohen del Grande Lebowsky (1998), al Kitano di Boiling Point (1993) e alle decine di personaggi memorabili partoriti dalla penna di Charles Bukowsky.
E con tutto questo ammiccare e sorridere, 7 Psicopatici più che un film sembrerebbe un tributo.
Ma solo in apparenza. Trama complessa, comicità nera, nerissima, sangue a fiumi, realtà e finzione che si fondono e confondono (e un po’ di luoghi comuni che non guastano) lo rendono qualcosa di uguale e al tempo stesso completamente diverso da quanto visto fin ora.
D’altronde, chi può dire che con In Bruges Mc Donagh non abbia stupito per originalità e audacia?
Non tanto, e non solo, nella storia che, anche se volutamente tortuosa, lascia allo spettatore tutto il tempo per godere di ogni dettaglio (in certi casi esilarante), quanto nella caratterizzazione dei personaggi che, grazie ad una sapiente scelta del cast, trasforma 7 Psicopatici realmente in un piccolo gioiello della cinematografia inglese ed internazionale di genere.
Particolare che non passa inosservato, poi, è che Mc Donagh ha riunito nel suo film attori che, almeno una volta, si sono confrontati – più o meno intensamente – col tema della follia.
Colin Farrell, che nella pellicola è Marty, scrittore in preda ai fumi dell’alcool, in cerca di tranquillità e concentrazione per partorire l’ostinata sceneggiatura, ha impersonato nel 2000 un Alessandro Magno ai limiti dello squilibrio (Alexander di O. Stone).
Sam Rockwell, nel film Billy, attore mediocre (ma con tanta fantasia) e ladro di cani per diletto, è stato il fantastico Victor Mancini nell’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Chuck Palaniuk, Soffocare (Clark Gregg, 2008).
Cristopher Walken, che in 7 Psicopatici si muove egregiamente nei panni di Hans – socio di Billy e criminale dal passato con proprio cristallino – è stato nel 1978 il magnifico Nick Chebotarevich, reduce dal Vietnam e tossicodipendente ne Il Cacciatore (M. Cimino). Ruolo che, tra l’altro, gli valse l’Oscar come miglior attore non protagonista.
Charlie, il criminale (infuriato) cui Marty e Billy hanno rubato la shi-tzu, è un letale Woody Harrelson che nel 1994 è stato Mickey Knox, psicopatico per eccellenza, in Assassini Nati di O. Stone.
Il cantautore Tom Waits che, lasciato ancora una volta il microfono per il grande schermo interpretando il killer di serial killer Zachariah, è stato nel 1992 l’abile Renfield, internato nel manicomio di Carfax Abbey nel Dracula di F.F. Coppola. E proprio a Tom Waits è toccato in sorte, a mio parere, il momento più intenso del film sottolineato dalle note del Roméo Et Juliette di Berlioz.
Mc Donagh – così come aveva fatto in In Bruges – sovrappone con scioltezza tre piani percettivi. La realtà, ai limiti dell’assurdo per quanto reale possa essere. La finzione, nella quale la realtà trova dolorose conferme. E il sogno, nel quale la sceneggiatura potrebbe anche non essere scritta perchè perfetta così. È proprio in quest’ultimo piano percettivo che risiede la maestria del regista, la sua firma.
7 Psicopatici non è un film di Guy Ritchie. Non è un film di Tarantino o dei fratelli Cohen. 7 Psicopatici è il fratello maturo di In Bruges. Un film in cui Mc Donagh ha confermato di saper dirigere, a suo modo, una commedia buia come la notte mascherata da pulp che sogna di essere il film perfetto. Per gli amanti del genere va visto assolutamente. Per chi non sa a cosa va incontro, suggerisco un qualunque altro film in programmazione che non sia questo.
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Ci avrei scommesso che avresti avresti detto la tua su questo film!!!
Sono andata ieri sera e devo ancora capire se mi è piaciuto oppure no. E’ parecchio diverso da In Bruges non credi? Come atmosfere, come storia.
Indecisa. Però ci metti sempre il massimo! Vendere ghiaccioli agli esquimesi no??
Scusa il ritardo nella risposta ma avevo un carico di fiordifragola e lemonissimo per il secondo igloo a sinistra!!!
Nel frattempo spero che tu abbia deciso che il film ti sia piaciuto.
Le differenze con In Bruges, cara A., sono macroscopiche ma allo stesso tempo minime.
In In Bruges la storia funzionava e funzionava bene perchè tutto il film ruotava sulla cornice (splendida) della cittadina belga. Se Mc Donagh l’avesse girato in qualunque altra parte del mondo, anche la storia (abbastanza povera di contenuto) ne avrebbe risentito. In quale altro posto se non lì avrebbe potuto trasporre in immagini i quadri di Bosh alternando, in maniera tanto incisiva, la sovrapposizione del piano onirico con la realtà?
Tutto il film poi ruota intorno a Ray (Farrell) e Ken (Gleeson) senza “interferenze” esterne. Come se fossero intrappolati tra le mura di Bruges. La presa di coscienza di Ray, la consapevolezza dell’errore e lo scontro finale, avvengono dentro la cittadella. Come fosse un percorso interiore.
In 7 Psicopatici, penso, abbia ragionato “a contrario”. E’ partito da una vicenda corale ambientata in una città agli antipodi (geografici, architettonici e sociali) di Bruges, aperta, assolata, piena di personaggi.
Ha portato alla maturazione Marty, Billy e, soprattutto, Hans in pieno deserto attraverso una pratica più “sciamanica” che introspettiva giungendo, comunque, ai medesimi risultati.
Che ne pensi tu?