Regia: Juan Diego Solanas
Anno: 2013
L’orfano Adam e la bionda Eden si incontrano da bambini. Vivono su un pianeta diviso in due mondi diversi, schiacciati a specchio l’uno sull’altro, paralleli ma opposti, ciascuno con la propria gravità: Eden nel mondo di sopra, ricco e prospero. Adam nel mondo di sotto, povero e depredato di risorse dai capitalisti dell’upside. Si innamorano e crescono frequentandosi di nascosto, sulle montagne al confine tra i due mondi, finché un brutto incidente non li separa. Dieci anni dopo averla creduta morta, Adam ritrova Eden e decide di sfidare il Sistema (nessuno da sotto può sconfinare nel mondo di sopra) per inseguire il suo sogno d’amore perduto.
L’argentino Juan Diego Solanas (figlio d’arte, spesso direttore della fotografia per il padre Fernando, autore del cinema militante latino) sceglie per Upside Down uno schema tipico delle distopie sociali della science fiction moderna.
Costruendo un’impalcatura visiva e narrativa che si regge ancora una volta sugli archetipi imposti da Metropolis (1927) di Fritz Lang: una dialettica spaziale e simbolica tra alto e basso. Sopra e sotto. In alto, a sovrastare spettatori e protagonista, la dimensione di elezione del potere e della forza produttiva, del benessere e della ricchezza diffusa. In basso, nelle buie periferie del mondo, il luogo di poveri, reietti, degrado e miserie umane sfruttate senza pietà.
Il tutto condito da scenari e atmosfere fantasy che fanno da cornice al melodramma centrale: la tormentata love story tra Adam e Eden. Due innamorati che come gli immortali Romeo e Giulietta provengono da mondi agli antipodi e dichiarano guerra alle imposizioni sociali.
Upside Down è una favola d’amore che adotta precisi modelli della fiaba, con personaggi e situazioni facilmente riconducibili a ruoli e funzioni proppiane. Ecco allora la situazione iniziale, con la morte dei genitori di Adam. Poi l’allontanamento del ragazzo dal tutore (la zia Becky, anche donatrice del mezzo magico, con quel barattolo di polline rosa che permette di stabilizzare la gravità).
La conseguente infrazione del divieto (l’attraversamento del territorio proibito) e il danneggiamento (l’incidente di Eden) che segna la perdita dell’amata. Quindi il trasferimento dell’eroe (Adam) nel luogo straniero e pericoloso (il mondo di sopra). Per lottare contro l’antagonista (la società capitalista) e liberare la vittima (Eden), non senza il sostegno dell’aiutante (Bob, il collega-amico che fornisce pass e giubbino speciale per sopravvivere nell’up world).
Una successione lineare di snodi narrativi contrastata dal disordine di un universo (a)simmetrico, alla rovescia. In cui tutto è, appunto, “upside down”, sottosopra, capovolto. Il contatto con chi sta dall’altra parte pare impossibile. Ci si può avvicinare al confine, ma una forza ci respinge indietro.
Adam sfida allora le leggi fisiche del doppio mondo. Tenta di sfuggire alla gravità, ai limiti e al peso del corpo (dopo un’ora passata nel mondo di sopra, comincia a disintegrarsi per combustione). In caduta libera nel vuoto. Non un tonfo nelle cupe tinte bluastre, nelle nere piogge acide del mondo di sotto, ma un tuffo, una risalita nell’alone avvolgente e luminoso (mondo di sopra) dell’amore perduto. Perché tutto, qui, si muove all’incontrario. Si “sale giù” e si “cade su”, come spiega Adam.
Un Adam(o) che penetra di nascosto nel giardino dell’Eden, dove l’amata lo aspetta per mangiare il frutto proibito del mondo di sopra (i succosi melograni rossi). È proprio una nuova genesi, del resto, quella promossa dall’unione dei due innamorati. Simboleggiata da quel parto gemellare che apre a un futuro all’insegna dell’uguaglianza, dell’equità sociale e del superamento delle divisioni. Verso l’assimilazione delle differenze e la corrispondenza simmetrica dei due mondi.
Un film che assomma dunque un ricco apparato metaforico e simbolico, con molti riferimenti agli universi immaginifici del cinema contemporaneo (c’è qualcosa delle atmosfere di Gattaca – La porta dell’universo, 1997, Andrew Niccol, gli scenari naturali nei grandi spazi aperti e i suggestivi panorami montagnosi ricordano i paesaggi di Avatar, 2009, James Cameron, mentre le fughe del protagonista tra corridoi, labirinti, spazi angusti e ambienti ribaltati richiamano la struttura di Inception, 2010, Christopher Nolan).
Un potenziale in parte disperso in un racconto che procede a singhiozzi. Talvolta un po’ lento, statico e indeciso, riscattato comunque dalla vivacità dei due interpreti (Jim Sturgess e Kirsten Dunst sono una coppia affiatata, con i teneri baci “sottosopra” in stile Spiderman) e soprattutto dalla mirabile scenografia di Alex McDowell (Minority Report, 2002, The Terminal, 2004). Il mondo di sopra con le sue architetture torreggianti, lisce e levigate, simbolo di perfetta razionalità e massima efficienza produttiva (si pensi al gigantesco ufficio open space dove lavora Adam, invaso da una bianchissima luce abbacinante, al limite dello sovraesposizione). A cui fanno da contraltare gli spazi disfatti e le macerie disastrate del livido mondo di sotto.
Una fiaba romantica che non deluderà gli appassionati del genere.