La terra di Dio

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photo by Agatha A. Nitecka

Regia: Francis Lee

Anno: 2017

Sullo sfondo delle colline dello Yorkshire, noto come “La terra di Dio” per la bellezza della sua natura incontaminata, la vita dura e senza grandi prospettive di un giovane introverso viene rinnovata nel segno dell’amore.

Johnny (Josh O’Connor) ha 25 anni e lavora senza grande entusiasmo nella fattoria del padre ormai semi-paralizzato, dove ogni giorno lo attendono le ordinarie mansioni dell’allevamento di mucche e pecore. Sfoga la sua frustrazione di sera al pub del paese, dove come d’abitudine si ubriaca. Vive in una casa isolata insieme al padre (Ian Hart), uomo dalle maniere spicce e poco comunicativo, con cui Johnny non ha un buon rapporto. E insieme alla nonna (Jemma Jones), che cerca quanto può di vegliare su entrambi con ruvida premura. Caricato di responsabilità  dalla famiglia, che vede in lui l’unico che possa portare avanti la fattoria, il giovane non ha amici e quei pochi se ne sono andati dal paese per studiare all’università  o in cerca di prospettive migliori.

In questo contesto Johnny, chiuso e scontroso, non ha avuto gran modo di sviluppare un senso affettivo maturo e consapevole (della madre si sa solo che se ne è andata anni prima) e sfoga gli impulsi sessuali consumando rapporti rudi e sbrigativi, quando capitano. E poco importa che siano con altri uomini, perché probabilmente avrebbe lo stesso atteggiamento in relazioni etero.

Un giorno, quando le necessità di un aiuto in più nella fattoria si fanno urgenti per il periodo dell’agnellatura, arriva Gheorghe (Alec Secareanu), un immigrato rumeno in cerca di nuove possibilità lavorative e di vita. Gheorghe conosce bene il lavoro da svolgere, proviene a sua volta da una fattoria di famiglia, e ama profondamente le mansioni che la vita rurale richiede, che sono per lui una scelta, al contrario di Johnny, che vive come una prigione il mondo ereditato dal padre.

Sulle prime Johnny guarda con distacco il nuovo arrivato. Ma non mancano per i due giovani le occasioni di lavorare insieme e a stretto contatto, sullo sfondo di uno scenario bucolico semplice, dove i ritmi sono quelli dettati dalla natura e gli unici suoni sono quelli del vento e degli animali. Soli, tra i pascoli, senza molte parole e senza premesse che facciano intuire le pulsioni l’uno per l’altro, i due si legano con la forza dell’istinto, gli amplessi impetuosi, le mani e i corpi sporchi di fango.

Mentre Johnny sembra intenzionato a portare avanti la relazione come un mero sfogo sessuale, forse anche perché non sa darle altri risvolti, Gheorghe ha cure e attenzioni per il suo amante che vanno ben oltre. Perché lui ha il coraggio, così semplice e così naturale, di amare, di accarezzare, di baciare, di guardare negli occhi e di parlare. Realtà sconosciute all’altro, che tuttavia non tarderà a comprendere, in una vera e propria educazione sentimentale, che si sviluppa in parallelo con la crescita dell’amore tra i due. Un po’ per volta il volto di Johnny, prima sempre cupo, si fa sempre più luminoso, si apre ad una possibilità di vita nuova e a una crescita come uomo. Come la nascita di un agnellino che a stento si regge sulle proprie gambe, ma che giorno dopo giorno la natura rende sempre più forte.

La terra di Dio (God’s own country) è l’opera prima e personalissima del regista Francis Lee. Anch’egli è originario delle terre dello Yorkshire, dove in passato ha lavorato nella fattoria di famiglia. Ed è vicino per il suo vissuto alle esperienze sentimentali dei due giovani. Nel film, dai tratti naturalistici e dallo stile narrativo asciutto, c’è uno spaccato sociale vivido e realistico e la bellezza della natura, poetica e ruvida al tempo stesso, accompagna la relazione dei due giovani, anch’essa carica di scene forti e dolci. Nessun giudizio, nessuna manifestazione di militanza gay trapelano nel film, perché La terra di Dio è niente più di una bella e sensibile storia d’amore, che parla direttamente al cuore dello spettatore.

Presentato al Sundance nel 2017, dove ha vinto il premio per la migliore regia, e proiettato in svariati festival in giro per il mondo, la pellicola di Lee è approdata in Italia grazie a una piccola e coraggiosa distribuzione proprio nell’anno di Chiamami col tuo nome (Call me by your name, 2017). Il film di Guadagnino, pur vero e autentico nell’esplorazione sentimentale dei suoi protagonisti, aveva tuttavia un’ambientazione sociale ben diversa, vagamente radical chic, e uno solo dei due amanti aveva una crescita nel rapporto amoroso prima inesplorato, perché l’altro fuggiva infine per un’altra vita, lontana e accanto a una donna. 

Altro naturale richiamo va a I segreti di Brokeback Mountain (Brokeback Mountain, 2005) di Ang Lee e al suo amore rurale tra due cowboy. Non fosse che l’idillio sullo sfondo delle montagne del Wyoming è destinato a rimanere nascosto, portando con sé il dolore e il rimpianto di una vita.

Il film di Francis Lee si apre invece a un futuro insieme per i due giovani, che è più di una speranza. A una vita rinnovata e anche al risvolto sociale di un lavoro, ormai dai più abbandonato, portato avanti all’insegna dell’amore. A dar vita a questo quadro i bravissimi Josh O’Connor (The program, Florence), premiato come miglior interprete ai British Independent Film Awards, e Alec Secareanu (Chosen), attore rumeno dallo sguardo fermo e profondo, sconosciuto da noi, che con questo film ha l’occasione di un trampolino di lancio nel cinema internazionale.

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