Godzilla

godzilla 1Regia: Gareth Edwards

Anno: 2014

A dispetto degli sconquassi prodotti a Manhattan dal Godzilla (1998) di Roland Emmerich, prima del remake di Gareth Edwards il kaijū nipponico mai aveva toccato davvero in profondità le sponde dell’immaginario americano-hollywoodiano. Godzilla è sempre rimasto Gojira (“And it’s Gojira, you moron!” sbottava la reporter di Emmerich contro il boss che gettava il mostro in pasto all’audience). Catalizzatore di fobie atomiche e spettri antiamericani difficilmente traducibile, senza un possibile corrispettivo, un’icona di una qualche valenza significante per ideologia e pubblico statunitense (le stesse produzioni giapponesi, esaurita l’onda lunga della tragedia di Hiroshima, virarono verso una dimensione leggera e perfino demenziale della saga). Non poteva e neppure voleva assolvere al compito il roboante Godzilla di Emmerich, divertissement autoriale tamarro e fracassone piazzato lì tra un’invasione aliena e una glaciazione newyorkese. Sfruttando l’appeal commerciale dell’epoca che vedeva i “nuovi mostri” all’assalto delle metropoli (il T-Rex a spasso per San Diego de Il mondo perduto – Jurassic Park, 1997).

godzilla 2Riesce nell’intento Gareth Edwards (regista di invasioni aliene di confine in Monsters, 2010), confezionando un thriller catastrofico più adulto, ambiguo e ambizioso che guarda alle origini del mito (Gojira, 1954, di Ishirō Honda) apportando una variazione, in una sorta di evoluzione darwiniana della specie e del simbolo Godzilla. Il Gojira di Honda si svegliava colmo di furia distruttrice, ibrido irrazionale di cattiva coscienza e aberrazioni della scienza (la bomba atomica), la cui sconfitta coincideva con l’autodistruzione dell’uomo-demiurgo (il suicidio del professor Serigawa) e la negazione di un progresso votato alle armi di massa. Il Godzilla di Edwards riemerge ciclicamente per ristabilire lo status quo umano-ambientale. Un (eco)sistema regolatore, fattore di riequilibrio, addirittura salvatore che combatte la minaccia nucleare (i MUTO, temibili mostri radioattivi) anziché incarnarla. Qualcosa è cambiato, ma a partire da elementi comuni, come nella selezione naturale. Fin dal creature design il mostro ricalca le fattezze del progenitore giapponese (con il recupero dell’atomic roar, il soffio radioattivo). Come nel film di Honda compare con parsimonia, secondo un’attesa differita, per dettagli o adibito al fuoricampo, l’immagine in campo lungo procrastinata fino allo scontro con i MUTO. Dall’incubo atomico al post-11 settembre, fra teorie complottistiche e timori per la catastrofe ambientale, le paure restano informi e senza nome, le minacce mai completamente visibili (era così anche per gli alieni di Monsters). Ma qui Edwards introduce lo scarto: stavolta si tratta di spauracchi infondati. Effetto della costruzione di un falso immaginario del terrore nucleare (Godzilla), orchestrato per insabbiare esperimenti top-secret e azioni militari (è ancora vivo il ricordo della caccia alle bombe fantasma di Saddam).

godzilla 3Un ponte simbolico è stato gettato. Godzilla approda sulle coste dell’America e nel blockbuster hollywoodiano per demolire il proprio mito e cambiarlo di segno, più che per abbattere grattacieli. Mostrando come la vera minaccia non sia più da proiettare all’esterno, ma si annidi nella viscere della Nazione. Seppellita nei deserti del Nevada, fra scorie nucleari e segreti rimossi dalla coscienza Usa. Ora sul punto di scuotere, come un sisma o uno tsunami, la superficie ludica di un capitalismo scellerato (l’attacco dei MUTO a Las Vegas), tutto retto sull’apparato militare. Ed è qui che il Godzilla di Edwards si riallaccia a quello di Honda, chiudendo il cerchio: l’utopia (?) della rinuncia alle armi, il disinnesco delle bombe. Ripudiate in quanto impotenti di fronte alle forze della natura, impossibili da dom(in)are. Tra il Golden Gate e le strade di una San Francisco cinerea, si regredisce agli istinti e alla lotta per la sopravvivenza della specie dominante, che certo non siamo noi. Godzilla completa il lavoro e si rituffa in mare. Immenso, letale e indifferente all’agire umano (fin dalla locandina ci volta le spalle). Come solo la natura sa essere.