Concussion

Concussion di Stacie Passon

copertinaprogrammaRegia: Stacie Passon

Anno: 2013

Al 29° TGLFF Concussion, di Stacie Passon

Lo schema drammaturgico che opera alla base di questo film è semplice ed archetipico: una coppia perde le ragioni della propria intimità a causa di un quotidiano stordente e ordinario e uno dei due partners sceglie di tradire, ma questa elementare ossatura basta a Stacie Passon per confezionare un film morbido come la pelle delle donne e profuso di una sensualità sottile e misurata.

Il menage di coppia di Abby (Robin Weigert) e Kate (Julie Lawrence) ormai trascorre in una ordinarietà fatta di impegni di lavoro, gestione dei figli, piccole e continue necessità domestiche. Qualcosa di importante si è perso, nel loro passionale stare insieme, ma tutto sommato il castello regge, sorretto quella sorta di apparente equilibrio che è il solo in grado di tienere in piedi l’amore quando la vita lo invecchia.

Poi, giocando con i bambini Abby viene ferita alla testa e qualcosa si inceppa nell’andamento fluido di quel meccanismo, un crollo interiore silente e non visibile, su cui il film non indugia troppo con spiegazioni e mostrazioni psicologiche che avrebbero appesantito lo scorrimento della narrazione ma che si legge in trasparenza nella recitazione dellaWeigert.CONClocandina

Abby, senza psicodrammi e con garbo misuratissimo da parte della regista, cerca la rottura senza mezzi termini, un’esperienza, magari estrema, che rigetti la sua esistenza nel mare tumultuoso delle forti passioni, tra cavalloni altissimi e correnti pericolose, e dopo l’esperienza con due prostitute (una trucidissima e una a dir poco mozzafiato) sceglie di trasformarsi in Eleanor, belle-de- jour dal fisico scultoreo (Abby frequenta la palestra con assiduità religiosa) che amorevolmente si dedica a soddisfare le necessità sentimentali (si fa per dire) di fanciulle e signore.

Se vogliamo poi dal punto di vista dello sviluppo narrativo, accade poco, gli incontri con alcune donne, la scoperta finale di Kate, crisi della coppia, ritorno a una apparente normalità, ma come spesso accade con i film di buona qualità è il come le cose vengono dette, non il loro contenuto, a fare la differenza.

La forte empaticità del personaggio di Abby, la sua fame di umanità, permette alla Passon di creare, belle di scene di scavo psicologico in cui attraverso, i dialoghi affatto superficiali  con le sue clienti-complici, si tratteggiano altrettanti ritratti di donna, scolpiti in maniera sintetica ma a tutto tondo, tridimensionale.

ConcAbbySamNe emergono debolezze e bellezze, idiosincrasie e proiezioni, la forza e la lucidità di personaggi femminili rappresentativi di problematicità e modalità culturali diverse dell’essere donna oggi che, prese tutte insieme, ci restituiscono un ritratto com-mosso del femminile contemporaneo (e come non darle ragione?), sfaccettato e ricco, ma soprattutto lontano da quelle stereotipe e convenzioni rappresentative che riguardano il femminile nel cinema generalista etero-fallo-centrico.

C’è la giovane sovrappeso, affamata d’amore e d’accettazione, che grazie alla storia con Abby-Eleanor trova finalmente l’amor proprio necessario ad intraprendere un percorso di cambiamento fisico, accettazione identitaria e di ricerca dell’amore vero, c’è la cliente matura con le cicatrici di un matrimonio fallito che un po’ le manca, in grado di far  emergere la difficoltà di Abby, che è di ogni donna, nel confrontarsi con quelle più avanti negli anni, che diventano specchi possibili e sempre perturbanti, perchè che riflettono il futuro dei corpi. E poi c’è Sam (Maggie Siff), la donna numero 6, con la sua bellezza ubriacante e la indisciplinatezza sessuale, con la sua sventatezza amorosa e la sua ineccepibile immagine sociale di mammina modello, c’è Sam ricca di contraddizioni e delizie che sono solo delle donne.

Dei tanti temi leggibili in questo ordito mi pare interessante notare che quelli legati all’omossessualità e alla omogenitorialità non siano fatti oggetto di Conc Samcycletteproblematizzazione o di sottolineatura drammaturgica, come invece avviene,  per quelli relativi all’identità femminile, ma siano assunti  come dato di fatto, come una normalità acquisita, talmente normale da non dover suscitare una particolare attenzione né da parte della regista né del suo spettatore. La Passon esprime una visione progressista (o, purtroppo, solo ottimista) del tema, che tende a superare quell’accezione di non-normalità, di problematicità che spesso caratterizza non solo i film, ma più in generale il dibattito culturale che lo riguarda. Per lei lo snodo problematico non è quello della possibilità di esistenza e dell’analisi delle dinamiche di una coppia omo-genea (che qui è cosa già fatta), ma quello della difficoltà dello stare in coppia, e gestire una famiglia, tout court, senza quelle ulteriori specifiche di genere, auto-ghettizzanti sul piano culturale, che lei supera di slancio.Conc Tipalpo

Aleggia leggera come una brezza su tutto il film la questione del confronto con i modelli estetici omologanti e del rapporto difficile che le donne hanno con la propria corporeità.

Il tema ritorna continuamente, oltre che nelle scene con la cliente che ha problemi di peso, nei discorsi che le varie amiche della palestra si scambiano, sintomaticamente, mentre scolpiscono i glutei arrancando su modernissime cyclette computerizzate, o negli incontri, spesso toccanti, che Abby-Eleanor  ha con la Donna Numero 3 (Laila Robins, bravissima), la cliente più matura di lei, in cui si insinua, ma senza eccessi melodrammatici, la  riflessione sulla fugacità della bellezza e sulla fretta che il tempo ha di trascorrere, rubandocela.

L’apparire sociale e l’essere sostanziale delle persone, sono questi i due opposti entro cui la Passon, quasi pirandellianamente, include i propri personaggi, CONC altrobaciocondannati alla recita, non troppo dolorosa, invero, della propria rispettabilità. Studentesse in carriera, mamme di famiglia, stimate professioniste, o escort, amanti, avventuriere del sesso, dove sta la vera identità di queste donne           (e dove sta quella di ognuno di noi, ovviamente)? La risposta sembra impossibile da dare, così come è pretestuoso il voler emettere giudizio, vuole dirci questo film, perché questa dualità tutti quanti ci riguarda, indistintamente, perchè ognuno di noi convive con la sua Eleanor nascosta sotto il costume d’attore che indossa ad uso e consumo degli astanti.

Conc luminobacioSi può dire che le bugie siano al centro di questo film: quelle che raccontiamo agli altri, sul lavoro, in società, nella coppia, ma sopratutto quelle che raccontiamo a noi stessi, sulla nostra identità, per meglio corrispondere all’immagine di noi che vogliamo incarnare, non volendo vedere quello che siamo realmente. Ed è proprio questo che capita ad Abby, che per potersi vedere veramente,  dovrà spogliarsi di tutte le rassicuranti non-verità che si è raccontata per anni sulla propria sessualità-identità, sul suo percorso di coppia ecc.

Un’ossatura tematica importante, quindi, che in più si giova di un impianto formale spigliato, mai frenetico o grave nell’espressione, nturalistico e piano.

Essenziale nella costruzione sonora la Passon limita l’accompagnamento musicale a un tema arpeggiato di chitarra elettrica e a sporadici tappeti sintetici di sintetizzaztori, atmosferici e sospensivi, nel senso che non presentando evoluzioni armonico melodiche di sorta, non avendo uno sviluppo che crei distensioni e momenti di tensione, ci lasciano in una sorta di perenne attesa, non creano un percorso di senso quanto un’atmosfera, una sensazione.

Bellissime le scene d’amplesso che si consumano nel luminoso loft che Abbi-Eleanor usa per ricevere le sue clienti. Affogate nella luce lattea dell’elegante open-space, CONC visointensotrovano in questa luce aerea e vagamente flou, soffusa, come nel candore degli ambienti-arredi, un  che di virginale, di pulito, che le che le epura da qualsivoglia libidinosità, dalla possibilità di una lettura lubrica, dal senso di oscenità. Queste scene fotografano l’idea di una sessualità naturale e pulita, che anche quando si spinge un po’ più in là, non risulta mai peccaminosa. la sensualità vellutata che ne promana non dipende, ovviamente, dalla omo identità sessuale delle parteners, quanto dall’atteggiamento scopico ammirato e desiderante con cui la Parson le mette in scena. Un’epica visiva del corpo femminile sempre misurata e mai volgare: i volti belli della bellezza della loro imperfezione, la morbidezza del disegno e delle curve, la pelle serica e i guizzi muscolari si stagliano in primi e primissimi piani, luminosi e morbidi, in cui il ritornante candore delle lenzuola serve a incorniciare pittoricamente questi ritratti intensi, a trasmetterne il valore quasi estatico.conc manichini

I baci con Pam, lunghissimi e voraci squillano, non gridano, di una visività vitale e sensualistica ma di una sontuosità fotografica non eccedente, non ribadita.

Certo è che, al di là di questi momenti, la prestazione di Robin Weigert è tutta di alto livello, costante e misurata, in parte sotto ogni punto di vista, come del resto quella delle colleghe, e sa farci partecipare dell’universo emozionale del suo personaggio con ricchezza di mezzi espressivi del bel viso e della voce. Il personaggio che ne risulta è emotivo e sfaccettato, una creazione che non risente in alcun modo di convenzionalità e stereotipie rappresentative di sorta.

Un film forse più adatto a essere visto che non a raccontare, in cui il senso arriva più dalle qualità “fisiche” dell’immagine che non dal dispiegamento di una narrazione complessa, non facilissimo da apprezzare, dunque, ma in grado di regalare momenti di buon cinema a chi voglia addentrarsi tra le volute morbide della sua poetica. Le modalità garbate con cui mette in scena anche i temi scomodi lo rendono potenzialmente apprezzabile da un pubblico abbastanza vasto (sperare è lecito) e la modernità di pensiero con cui tratta i temi della omo-genitorialità, della coppia omosessuale e della percezione sociale e culturale dell’omosessualità gli conferiscono un valore aggiunto prezioso, essenziale.