Zero Dark Thirty

Regia: Kathryn Bigelow
Anno: 2012

Zero Dark Thirty. Nel gergo dei duri più duri Navy S.E.A.L.s americani (i corpi speciali della marina) significa letteralmente un’alzataccia.

E troppe ne deve aver fatte l’ex signora Cameron (il marito, James, è quello che nel 2009 ha lasciato a bocca aperta mezzo mondo con Avatar, per intenderci) per realizzare questo film interamente dedicato al lavoro di chi ha permesso ad un manipolo di soldati altamente specializzati di eliminare, una notte di maggio del 2011, il nemico numero uno del mondo libero: Osama Bin Laden.

Zero Dark Thirty conferma, come se ce ne fosse ancora bisogno, la bravura, la maestria e la tecnica narrativa della regista statunitense che, raccontando la storia di Maya (Jessica Chastain, la splendida signora O’Brien di The Tree of Life, T. Malick, 2011), descrive al contempo, senza troppi giri di parole, immagini da TG, autocelebrazioni della la superiorità degli States (feriti al cuore l’11 settembre, ma capaci di reagire e affrontare il nemico) ed uno dei capitoli più neri della Storia contemporanea.

Kathryn Bigelow, classe 1951 – che nella corsa agli Oscar del 2009 contro l’ex marito e le sue creature blu (non i Puffi, ma gli abitanti di Pandora) concorreva con quel gioiellino della cinematografia contemporanea chiamato The Hurt Locker, uscendone sì sconfitta in termini di quantità di statuette (una contro le sette dell’ex coniuge), ma con la “consolazione” di essere l’unica donna ad aver mai vinto quella per la miglior regia – si presenta oggi nelle sale con un film che la consacra definitivamente come LA regista di film d’azione/thriller/guerra per eccellenza. Titolo cui molti suoi colleghi maschi, pur con grande impegno e fatica, possono solo aspirare.

Non dimentichiamoci, infatti, che la brava Kathryn è stata la responsabile di tutte le polmoniti (tra cui anche quella del sottoscritto) prese da chi, dopo aver visto Point Break nel 1991, ha pensato bene di tuffarsi in mare con tavola da surf e muta in pieno inverno per emulare le gesta di Johnny Utah (Keanu Reeves), di Bodhy (Patrick Swayze) e del gruppo degli Ex Presidenti. Non contenta di aver avuto sulla coscienza tutte quelle persone, solo quattro anni dopo, ha fatto letteralmente impazzire gli spettatori con la festa di capodanno più allucinata che il cinema di genere ricordi. Con Strange Days, infatti, ha cambiato in modo radicale il concetto di esperienza, influenzando sensibilmente i lavori di altri registi negli anni successivi, come i fratelli Wachowski e la loro trilogia di Matrix.

Con The Hurt Locker, la Bigelow, forse per evitare di fare troppo il verso all’ex marito che, nel frattempo, aveva già fatto affondare il Titanic, sembra aver dato un taglio al passato, e ad un certo tipo di cinema. Abbandonato il genere propriamente d’azione, la regista statunitense si è immersa anima, cuore e cinepresa in temi ben più seri ed attuali di quanto realizzato fino a quel momento; dando vita ad una pellicola che, per impianto narrativo, sequenze e contenuti può tranquillamente esser considerata, insieme al Black Hawk Down di R. Scott (2001), come uno dei più bei film di guerra degli ultimi vent’anni.

Oggi, come a voler confermare quanto sia stata brava a realizzare, ancora una volta, un film da uomini, come e meglio di loro, la Bigelow sorprende e stupisce più e meglio del suo ultimo lavoro in mimetica e mitragliatore, regalando al pubblico una pellicola straordinaria, stridente sottopelle, dura come certe scene di interrogatorio, per nulla mitigata o addolcita da inutili orpelli. Quasi un documentario. Una cronaca lunga un decennio.
Giustamente acclamato in patria, criticato durante l’ultima campagna elettorale perchè fin troppo veritiero (qualcuno deve aver di sicuro raccontato un po’ troppi dettagli perché il film riuscisse così bene), candidato a 5 statuette, Zero Dark Thirty rappresenta l’ulteriore evoluzione (in termini di regia e impianto narrativo) di The Hurt Locker. Più intenso, più drammatico e ancor più sorprendente. Grazie soprattutto alla scelta della protagonista che per determinazione e carattere fa sembrare la Demi Moore del G. I. Jane di R. Scott (1997) una protagonista di M.A.S.H.

Pellicola interamente dedicata all’infinito lavoro di intelligence dei servizi segreti USA (sul campo, in Patria, sulla rete ed in luoghi segretissimi) – che ha poi permesso, alle 00.05 del 2 maggio 2011, ad un team del NAVDEVGRU (Naval Special Warfare Development Group) di irrompere nel covo di Bin Laden – Zero Dark Thirty è completamente spoglio di quell’allure propagandistico di cui molti film di genere sono farciti. E’ qualcosa che va oltre la caccia al cattivo (anche perché il finale è cosa nota) o dal “riempire” due ore di pellicola per arrivare alla sparatoria finale (tra l’altro memorabile per realismo e rumore), dove i buoni vincono e la bandiera a stelle e strisce sventola in dissolvenza.
Zero Dark Thirty è soprattutto un film in cui la ricerca si tramuta in ossessione che a sua volta evolve nello scontro, nello scetticismo di superiori troppo cauti, impattando nel silenzio di chi sa e non parla, passando per i campi di prigionia, fino ad arrivare all’inevitabile incredulità di tutti coloro che, dopo 12 anni di ricerche e interrogatori, non si capacitano (o non vogliono farlo) di aver trovato davvero il capo di Al Qaeda.

Nel cast, oltre alla strepitosa Jessica Chastain, i due australiani Jason Clarke/Dan (Nemico Pubblico di M.Mann del 2009) e  Joel Edgerton/Patrick (Warrior di G.O’Connor, 2011), il britannico Mark Strong/George (Sherlock Holmes di G. Richie, 2009) e James Gandolfini (Romance & Cigarettes di J.Turturro,2005) nel ruolo del capo della CIA, Leon Panetta.

157 minuti di vero cinema. Di quello che non se ne fa da tempo. Lento all’inverosimile in certi punti, forse troppo “politico”, mai noioso però. Teso il giusto. E fin troppo reale nel finale. Da vedere come si vedrebbe un documentario.

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