Padroni di casa

Regia: Edoardo Gabriellini
Anno: 2012

Cosimo (Valerio Mastandrea) ed Elia (Elio Germano), fratelli e  titolari di una impresa edile, giungono in un paesino dell’Appennino Tosco-Emiliano contattati dal famoso cantante Fausto Mieli (Gianni Morandi), per svolgere dei lavori alla terrazza della sua villa. Qui, il cantautore popolare, si è ritirato ormai da dieci anni per seguire la moglie Moira (Valeria Bruni Tedeschi, attrice/regista internazionale nota per i più recenti Baciami ancora di Gabriele Muccino, del 2010 e Munich di Steven Spielberg, del 2005 ), costretta su una sedia a rotelle a causa di una grave malattia neurologica. Fausto, comunque, sta preparando il grande ritorno alle scene con un concerto che si terrà di lì a pochi giorni.

Immersi in questa realtà, i due piastrellisti romani (impegnati nei lavori ma distratti da simpatie ed ostilità locali) si ritroveranno vittime e carnefici di una società aggrappata alle radici, tipiche dei piccoli centri, e saranno poi accidentalmente coinvolti in uno sconvolgente ed alquanto improbabile epilogo bagnato di violenza e sangue.

Edoardo Gabriellini (che ricordiamo in veste di attore in Ovosodo, di Paolo Virzì, 1997) presenta un film che vuole, cinematograficamente parlando, uscire dagli schemi, stuzzicare l’occhio e la fantasia dello spettatore capovolgendo i ruoli, i generi ed ovviamente la trama dal corso apparentemente scontato.
Padroni di casa
si identifica come un vero e proprio esperimento, per un’Italia abituata a prodotti decisamente differenti. L’idea è originale, incoraggiante e audace, lo svolgimento lascia molto a desiderare e accentua le debolezze di un cinema troppo assuefatto ai filoni melodrammatici della stessa stazza o corporatura, che dir si voglia.

Note di merito per la regia: la grande maturità acquisita a dispetto dell’opera di esordio (B.B. e il cormorano, 2003 ), con un’attenzione mirabile ai particolari descrittivi delle location ed emotivi dei personaggi. Il film è sicuramente penalizzato da una sceneggiatura troppo fragile ed inconsistente, che pecca di leggerezza narrativa nei momenti fondamentali e di svolta del film; da segnalare quindi la scarsa vena intuitiva nel passaggio da un genere (tragi-comico) ad un altro (thriller) e la incerta e scivolosa cura nella definizione reale dell’ostilità popolana nei confronti dei due protagonisti (che invece dovrebbe rappresentare il cuore, il fulcro dell’opera).

Geniale intuizione, al contrario, la scelta dei due personaggi principali, Cosimo ed Elia. Il duo Mastandrea – Germano è perfetto: ottima intesa collaborativa ed interpretazione piacevole, spontanea e diretta, che ripercorre con battute simpatiche e melodicamente orecchiabili il genere comico, ed affronta, con intensa espressività, il dramma che riserva il percorso del film. Occhi puntati al ritorno di Gianni Morandi sul grande schermo, con un personaggio ben lontano dall’ eterno ragazzino felice e sorridente che siamo abituati a vedere (cinematograficamente e televisivamente). Morandi interpreta se stesso, sotto mentite spoglie, con un personaggio tratteggiato come un uomo esausto alla radice, il cui radioattivo e sorprendente cinismo causerà l’emblematico epilogo della pellicola. Anche in questo caso, la sceneggiatura non riesce a definire concretamente il rapporto Fausto/Moira (Morandi/Bruni Tedeschi), limitandosi a semplificarlo e a mostrare il dramma familiare troppo superficialmente (ironicamente diremmo “quasi a voler mantenere la privacy di un personaggio inventato”).

E quando la trama si arricchisce della svolta che dovrebbe capovolgere gli schemi fino a quel momento osservati, ecco che si resta delusi e con l’amaro in bocca per un epilogo frettolosamente cercato e troppo surreale da essere compreso; un finale  che lava nel sangue le sfumature pregresse e che minimizza tutto il lavoro di Gabriellini, enfaticamente, abile compositore di un testo da rivisitare.

[adsense]